Finora i topi erano risultati indenni al coronavirus, ma una ricerca condotta dall'Istituto Pasteur di Parigi dimostra per la prima volta che le varianti brasiliana e sudafricana riescono a contagiarli e, di conseguenza, i roditori potrebbero diventare serbatoi naturali nei quali il virus potrebbe riassortirsi e mutare ancora.

I dati sono stati pubblicati sul sito bioRxiv, che accoglie articoli non ancora sottoposti alla revisione da parte della comunità scientifica. La ricerca, promossa dal genetista Xavier Montagutelli, si basa sulle osservazioni fatte nei topi di laboratorio, nei quali la proteina Spike del virus SarsCoV2 non riesce ad agganciarsi al suo principale bersaglio, il recettore Ace2 che si trova sulla superficie delle cellule. Riescono invece a far scattare questa serratura molecolare sia la variante brasiliana sia quella sudafricana del virus SarsCoV2, ma anche "altri fattori potrebbero essere coinvolti nella capacità delle varianti di infettare i topi".

Da ora in poi sarà dunque possibile studiare la malattia in dettaglio e direttamente nei topi di laboratorio. La scoperta indica però che "questo nuovo salto di specie aumenta la possibilità che i roditori selvatici diventino un serbatoio secondario". Sebbene debba ancora essere studiata la capacità dei topi di trasmettere l'infezione, "questi risultati - scrivono i ricercatori - sollevano importanti interrogativi sui rischi che derivano da topi o altri roditori che vivano in prossimità degli esseri umani", diventando dei serbatoi per il riassortimento del virus che potrebbero favorire in questo modo la comparsa di altre varianti.