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Dietro un grande papa si cela una profonda storia umana e spirituale, dietro un solenne uomo di Chiesa una vita di preghiera, fede, bontà e sacrificio, di cadute verticali e risalite tortuose. Dietro Papa Francesco, Jorge Mario Bergoglio. È stato un pontefice sui generis: rivoluzionario, coraggioso e contro tendenza, proprio per questo spesso discusso. Il suo viaggio parte da lontano.
Radici e formazione
Bergoglio nasce a Buenos Aires il 17 dicembre 1936, in una famiglia di immigrati piemontesi di classe media. Primogenito di Mario Bergoglio e Regina Maria Sivori, il padre era contabile presso le ferrovie, la madre casalinga. Sin da subito muove i primi passi in un ambiente profondamente cattolico, nel quartiere popolare di Flores. Durante l’adolescenza si diploma come tecnico chimico per un breve periodo lavora prima in una fabbrica di calzini, poi come buttafuori in un locale di Córdoba.
In quegli anni anche una relazione: “Se non mi sposo con te, mi farò prete”, promise all’allora novia, Amalia. Ma lei, a quelle dichiarazioni, non rispose mai: “I miei genitori mi portarono via da lui […]. Mia madre mi disse che ero una signorina per bene e non dovevo fare certe cose. Ho detto a Jorge di non avvicinarsi più perché mio padre gliel'avrebbe fatta pagare”. Nel 1953, a 17 anni, dopo una confessione particolarmente intensa durante la festa di San Matteo, avverte per la prima volta la vocazione religiosa. Racconterà più volte che quella fu un’esperienza di misericordia che avrebbe cambiato la sua vita.
Vocazione e ingresso nei gesuiti
A 22 anni entra nel seminario diocesano di Villa Devoto, barrio di Buenos Aires, allora retto da sacerdoti gesuiti. È il 1958 quando Bergoglio entra nel noviziato della Compagnia di Gesù, ordine fondato da Ignazio di Loyola. Due anni più tardi viene inviato in Cile per completare il noviziato, prima di tornare in Argentina per continuare gli studi umanistici, durante i quali maturò il pensiero filosofico e conseguì la laurea in teologia presso il Colegio Máximo de San Miguél.
È in questo periodo che il giovane discente sviluppa alcuni tratti distintivi che ne avrebbero poi caratterizzato il percorso umano e cristiano: spirito di discernimento ignaziano (ovvero una pratica che aiuta a riconoscere e seguire la volontà di Dio nella vita concreta, appunto ispirato da Ignazio da Loyola); equilibrio tra disciplina e compassione; forte sensibilità pastorale e interesse per il popolo nella sua completezza, non solo per l’élite sociale e culturale.
Dopo aver insegnato letteratura e psicologia nei collegi gesuiti, il 13 dicembre 1969 fu ordinato sacerdote dall'arcivescovo di Córdoba monsignor Castellano. I due anni successivi continuò la formazione in Spagna, e il 22 aprile 1973 prese l'impegno solenne e definitivo all'interno dell'Ordine dei Gesuiti. A soli 36 anni viene nominato provinciale dei gesuiti in Argentina, proprio quando il Paese si sta per affacciare a un periodo complicato e turbolento: quello della dittatura militare, durante il quale molti dei teologi e dei sacerdoti che si erano avvicinati alla teologia della liberazione vennero perseguitati.


La “zona grigia”
Proprio a questo periodo risale l’episodio più controverso del passato di Bergoglio. Si tratta del sequestro di due gesuiti progressisti, Orlando Yorio e Francisco Jalics. Su di lui piombarono pesanti accuse, in particolare dal giornalista Horacio Verbitsky, secondo cui Bergoglio avrebbe chiesto ai due sacerdoti di abbandonare il loro lavoro nelle baraccopoli. Al loro rifiuto – afferma il giornalista – li avrebbe rimossi dalla Compagnia di Gesù facendo pressione sull’arcivescovo di Buenos Aires per impedire loro di celebrare la messa. Azioni che avrebbero lasciato i due senza protezione.
Anni più tardi, nel 2010, Bergoglio testimoniò in tribunale, affermando di aver cercato di proteggere i due sacerdoti e di aver interceduto presso le autorità militari per la loro liberazione. Nel 2011 la sentenza del Tribunale di Buenos Aires concluse che non vi erano prove del coinvolgimento nel sequestro. La corte affermò che le accuse erano infondate. Nel 2013, Jalics dichiarò pubblicamente di essersi riconciliato col futuro pontefice, affermando che, dopo gli iniziali sospetti di tradimento, si convinse che Bergoglio non li avesse denunciati.
Un episodio che segnò profondamente il percorso del giovane gesuita, che in quegli anni si impegnò attivamente per proteggere i religiosi perseguitati dalla dittatura agendo con prudenza, cercando di mantenere l’unità dell’ordine anche a costo di ambiguità strategiche.
L’esilio di Córdoba e la svolta episcopale
Dopo aver lasciato l’incarico provinciale, Bergoglio diventa rettore del Colegio Maximo di San Miguél. Qua, le sue posizioni lo portano a entrare in contrasto con parte della Compagnia. Alcuni gesuiti lo percepiscono infatti come eccessivamente rigido e centralizzatore. Bergoglio si oppone alla politicizzazione dell’ordine e alla deriva progressista di una parte del clero post-conciliare. Lo status raggiunto lo aveva messo inoltre in una posizione scomoda per molti.
Viene così messo da parte: nel 1986 viene trasferito nella casa gesuitica di Córdoba, privo di incarichi istituzionali. Seppur non ufficialmente punitivo, il trasferimento viene vissuto da lui come un vero e proprio esilio. Saranno due anni di fede e preghiera, decisivi anche per la sua formazione. Questo tempo diventa così una “palestra ascetica”, e lui stesso lo descriverà come un periodo di “purificazione interiore e maturazione della fede”.
Nel 1992 Giovanni Paolo II lo chiama a uscire dall’isolamento e lo nomina vescovo ausiliare di Buenos Aires, assegnandogli contestualmente il titolo di vescovo titolare di Auca. Nel 1997 diventa arcivescovo coadiutore di Buenos Aires e nel 1998 succede al cardinale Quarracino come arcivescovo metropolita della stessa arcidiocesi. Il suo episcopato sarà contraddistinto da uno stile di vita semplice, una pastorale attiva, con particolare attenzione ai poveri e alla giustizia sociale, e una relazione critica col potere.
Cardinalato e prove di pontificato
Sono anni di forte ascesa per Bergoglio, che grazie alle sue scelte coraggiose avvicina a sé sempre più fedeli, divenendo punto di riferimento e guida spirituale e morale. Nel 2001 viene quindi nominato cardinale da Giovanni Paolo II. Lui accetta, ma ne rifiuta alcuni “privilegi”: nessun banchetto, nessuna croce d’oro (la sua è di ferro). Alla morte di Wojtyla, il 2 aprile 2005, è tempo di eleggere il nuovo pontefice, e quello del porporato argentino è uno dei nomi più accreditati alla vigilia del conclave. Alla fine sarà Joseph Ratzinger, poi Benedetto XVI, a mettere (quasi) tutti d’accordo, divenendo il 265º Papa della Chiesa cattolica.
Fu un testa a testa proprio fra il porporato tedesco e quello latino, che si concluse al terzo scrutinio quando a Ratzinger mancavano pochissimi voti e per essere eletto e, pare anche sotto consiglio dello stesso Bergolgio, diversi cardinali del suo blocco diedero al primo le preferenze che mancavano per l’elezione. Negli anni successivi, Bergoglio diventa comunque punto di riferimento del concistoro, e preme con la sua azione affinché si concretizzi una Chiesa più sobria, missionaria e misericordiosa.
In questo senso è protagonista di un episodio in particolare, nel 2007: la Conferenza di Aparecida. In occasione della quinta conferenza generale dell'episcopato latino-americano, i vescovi si riuniscono per rinnovare l’evangelizzazione in un continente segnato da diseguaglianze, secolarizzazione e nuove povertà. Obiettivo comune è quello di rilanciare una chiesa capace di “uscire da sé” per incontrare il popolo. Il documento conclusivo fu affidato alla commissione di redazione guidata proprio da Bergoglio.
Il porporato criticò aspramente alcuni sacerdoti di Buenos Aires che si erano rifiutati di battezzare i bambini nati da coppie non sposate o figli di madri nubili, perché "allontanano il popolo di Dio dalla salvezza". Nel documento si evidenziano alcune delle impronte principali del pensiero bergogliano: la Chiesa deve abbandonare la tentazione all’autoreferenzialità; la comunità cristiana deve andare verso le periferie esistenziali e geografiche; la povertà non è solo un problema sociale, ma una via per comprendere il Vangelo; la Chiesa deve ascoltare, discernere, accompagnare. Sono tutti temi che ritorneranno con forza nel pontificato di Francesco: Aparecida rappresenta così il suo vero laboratorio ecclesiale.


I due papi
Quelle del 2007, come anticipato, sono le prove generali al pontificato di Bergoglio, che arriverà sei anni più tardi in una situazione del tutto eccezionale. Un episodio simbolico, destinato a rimanere per sempre impresso nella storia cristiana. È l’11 febbraio quando Papa Benedetto XVI, davanti al concistoro ordinario annuncia in latino la sua rinuncia al ministero pietrino, motivando col “venir meno delle forze per l’età avanzata”. È la prima abdicazione papale dal 1415 (con Gregorio XII) e la prima spontanea dal 1294 (allora fu Celestino V). Il 28 febbraio, alle ore 20, entra in vigore la rinuncia di Benedetto XVI, che assume il titolo di “Papa emerito” e si ritira nel monastero Mater Ecclesiae, presso i Giardini Vaticani.
È tempo di pensare al nuovo volto della Chiesa: il decanato del Collegio cardinalizio, guidato da Angelo Sodano, convoca il conclave. I cardinali cominciano le congregazioni generali per discutere su quale sia il profilo ideale per succedere a Benedetto. Lo choc per l’inaspettata decisione di Ratzinger richiede tempo, così tra il 4 e l’11 marzo si tengono dieci sessioni plenarie a porte chiuse. È un momento di riflessione su alcuni temi dominanti: crisi morale e finanziaria della Curia romana; necessità di riforme; urgenza di riscoprire la missione evangelizzatrice; spinta verso la richiesta di un papa non europeo, rappresentativo di chiese ed esigenze del sud del pianeta.
C’è il brasiliano Odilo Scherer fra i nomi più accreditati, ma caldi sono anche quelli di Angelo Scola (Milano), Marc Ouellet (Canada) e Timothy Dolan (New York). Solo più tardi, durante le congregazioni, riemerge gradualmente anche il nome di Bergoglio, che durante qui giorni di profonda riflessione avrebbe pronunciato una frase memorabile: “La Chiesa è chiamata a uscire da sé, andare verso le periferie esistenziali. Una Chiesa autoreferenziale si ammala”.
Il pomeriggio del 12 marzo inizia il conclave, a cui partecipano 115 cardinali elettori da tutto il mondo. Si vota nella Cappella Sistina, sotto il celebre Giudizio Universale affrescato da Michelangelo. Quattro scrutini, quattro fumate nere, così distribuite: la prima nello stesso pomeriggio, seconda e terza nella mattinata successiva, quarta nel pomeriggio del 13 marzo. La sera stessa, al quinto scrutinio, arriva la tanto attesa fumata bianca: Jorge Mario Bergoglio sarà Papa Francesco.
“Annuntio vobis…”
Sono le ore 19:06 quando il cardinale Jean-Louis Tauran si affaccia dalla loggia di San Pietro, pronunciando le fatidiche parole: “Annuntio vobis gaudium magnum […], Cardinalem Bergoglio”. Il nome assunto, Francesco, è un inedito nella tradizione papale: una scelta ponderata e significativa, emblematica del pensiero che ha accompagnato Bergoglio durante tutta la sua missione episcopale. “Non dimenticarti dei poveri”, gli avrebbe raccomandato il cardinale brasiliano Cláudio Hummes quando era ormai chiaro che sarebbe stato lui il Santo Padre. Una richiesta forte, sentita e vicina al gesuita, che, come successivamente raccontato da lui stesso, gli si impose nel cuore: “Il povero, il povero… poi ho pensato a Francesco d’Assisi. E così è venuto il nome”.
Così come San Francesco, infatti, Bergoglio in vita ha sposato la visione di una Chiesa misericordiosa ed esistenziale: “Ah, come vorrei una Chiesa povera, e per i poveri!”. Davanti a una folla trepidante e commossa, in piazza San Pietro, Papa Francesco pronuncia le sue prime parole: “Fratelli e sorelle, buonasera… prima di tutto vi chiedo un favore: pregate per me”. Inizia così il pontificato di Francesco, dodici anni di cambiamenti radicali, scelte simboliche e riforme significative, appelli a un mondo più umano e a una Chiesa del popolo. Ieri, 21 aprile 2025, il Santo Padre si è spento dopo settimane di lotta e sofferenza, a distanza di giorni dal lungo ricovero durato 38 giorni.
Quasi simbolicamente, Francesco è spirato dopo Pasqua, giorno in cui ha pronunciato le ultime parole pubbliche per impartire la benedizione Urbi et Orbi: “Cari fratelli e sorelle, buona Pasqua!”, il sipario su un mandato storico, ultimo atto di un altro capitolo cruciale della Chiesa cattolica.

