Ieri Parigi, oggi Bruxelles. Domani chissà.

L'inferno in Europa è ogni giorno. Nelle periferie e nei sobborghi, nelle piazze monumentali, nelle stazioni metropolitane e nei viali alberati delle città capitali dove milioni di corpi si sfiorano. Nei marciapiedi grondanti di vita, tra le luci dei centri commerciali e gli scarichi dei taxi e dei bus imbottigliati nel traffico di un mondo frenetico che non ha tempo di guardarsi attorno.

L'inferno in Europa si incendia al mattino, davanti a un caffé sonnolento e distratto.

L’inferno, in Europa, esplode la sera mentre la birra scorre nei pub e la musica grida.

E gridano tutti, tra bagni di sangue e corse nel buio, bestemmie di rabbia e terrore, lamenti e fracasso.

La guerra in Europa è quando meno te l’aspetti. E nel cuore della guerra c’è sempre chi ha la freddezza di documentare, riprendere e fotografare. Così lo vediamo, su tv e cellulari, l’inferno in Europa. Senza carrarmati, né filo spinato, sacchi di sabbia o tende da campo. Perché la guerra, qui, oggi, è una lotta impari figlia di un cancro che si insinua nelle viscere dei nostri Paesi e vi si radica torcendone l’identità e storcendo la realtà.

Le coordinate di Bataclan, Molenbeek e Zaventem verranno registrate sui libri di storia come lo furono quelle di Ground Zero, Atocha e King’s Cross, luoghi icona di una contemporaneità la cui portata è ancora difficile da valutare. E noi, un'altra volta, assistiamo attoniti alla bestiale furia dell’estremismo islamico che fa dell’Europa un inferno.