La morte di un bimbo, oltre a stravolgere la sua famiglia, arriva a colpire anche gli sconosciuti che apprendono la notizia. Si prova una stretta al cuore e tutto si proietta subito ai propri figli o ai nipotini. Esiste qualcosa di ancestrale e innato nella natura umana che, in qualche modo, avvicina alla sofferenza della famiglia coinvolta da uno strazio così grande. Inevitabilmente facciamo anche nostro quel dolore che, nessuno mai, vorrebbe provare. La stampa e la tv, in particolare in questi ultimi giorni, ci ha segnalato di tragedie che coinvolgono bimbi piccoli alle quali assistiamo inermi, e incapaci di comprendere cosa accade sotto i nostri occhi.  

Quando muore un bimbo, la sua famiglia dopo aver pianto tutte le lacrime, cerca di darsi forza convincendosi che si trova in cielo con gli angeli. Ma poi arriva il  momento terribile in cui la razionalità, spazza via senza pietà, questo pensiero consolatorio e si desidera solo avere quel bimbo accanto…anche facendo un torto agli angeli.

Dicono che non ci sia sofferenza peggiore che sopravvivere ai propri figli, deve essere vero perché il solo pensiero mozza il fiato. L’impossibilità di continuare a vivere perché niente può avere più senso ti “acchiappa”, e ti tiene stretto fino a quando la tua forza, la tua fede o entrambe, non ti danno la possibilità di uscire da quei luoghi oscuri e indesiderati in cui ti sei esiliato per fuggire dal dolore. Perché quando la perdita di un bimbo arriva, improvvisa o no, ti scava dentro e ti riempie della sua assenza…ogni giorno. Poco alla volta diventa un continuo scossone emotivo e ti costringe a riflettere su quali siano veramente le priorità della vita.

La morte non è una luce che si spegne. È mettere fuori la lampada perché è arrivata l’alba”. (Rabindranath Tagore)