A raccontare il dramma di Katia, una 16enne scappata da Mariupol insieme al fratellino di cinque anni, è la volontaria Vira Khvust. Lo fa attraverso il proprio canale Telegram, un modo per comunicare raccolte fondi per i ragazzi e aiutare ad acquistare beni di prima necessità per gli sfollati.

“Sapete cos’è il dolore? Una volta mi ero innamorata di un ragazzo, ma lui non si era innamorato di me, pensavo che facesse male. Mi sono sbagliata. Il vero dolore è vedere la mamma morire davanti ai propri occhi. Il mio fratellino continuava ad andare da lei e dirle: ‘Mammina non dormire, prendi freddo’. Noi non potremo mai andare a farle visita al cimitero. Lei è rimasta in quello scantinato buio e umido”. Inizia così il racconto di Katia.

“Andavamo in bagno, dormivamo, mangiavamo quel poco di cibo che ci era rimasto, tutto nello stesso scantinato – continua Katia -. Un giorno il signor Kolja ha preso un piccione, era il quinto o il sesto giorno, l’abbiamo cotto sul fuoco e l’abbiamo mangiato. Poi abbiamo vomitato. La mamma ha resistito fino all’ultimo, ma tre giorni prima della nostra evacuazione è morta. Ho detto al mio fratellino che si era addormentata, non bisognava svegliarla. Ma penso abbia capito tutto. Aveva capito anche quando era morta la vicina di casa, ma non riuscivamo a portala fuori e ha iniziato a puzzare. Poi hanno smesso di bombardare e il signor Kolja l’ha portata via, ma è morto in un’esplosione. Mia mamma ha pianto molto. Dopo la morte di papà, il signor Kolja era la persona a lei più vicina”.

“I cadaveri puzzano così tanto – racconta ancora la 16enne - Erano ovunque lì. Ho coperto a mio fratello gli occhi con la sciarpa di mia mamma perché non vedesse. Quando correvamo via, sono stata sul punto di vomitare diverse volte. Io non credo più al vostro Dio. Se ci fosse, noi non soffriremmo così tanto. Mia mamma non ha mai, e dico mai, fatto nulla di male. Il signor Kolja non lo faceva mai dormire in casa, nemmeno nell’altra stanza, finché non si sono sposati. Mamma andava in chiesa e si confessava spesso, e anche io. Il signor Kolja ha smesso di fumare perché la mamma diceva che fosse peccato. Invece il vostro Dio ce l’ha portata via. Un prete mi ha detto che ora la mamma avrebbe prestato servizio con Dio, ma sarebbe stato meglio che lei avesse prestato servizio qui, accanto a noi”.

“Io odio la Russia. Mio zio è lì. Sapete cosa mi ha detto a telefono? “Katia? Quale Katia? Non vi conosco, ragazzina. Quale guerra? Quale Katia?”. Poi mi ha mandato un messaggio da un altro numero: “Katia, non mi scrivere. Per me e la mia famiglia è pericoloso. Non possiamo far tornare in vita tua mamma”. Li odio, era sua sorella, come si fa?”.

“Penso che tornerò a Mariupol. E vivrò in quello stesso posto. E scenderò a portare fiori nello scantinato della nuova casa. Un’altra cosa che fa paura è quando i bimbi piangono, ma non si può. Era pericoloso che li sentissero. Questi orchi trovavano così le persone nascoste negli scantinati e le uccidevano. Chi è sopravvissuto racconta che i soldati russi potevano violentare bambini, vecchie, persino i cadaveri. Se Dio c’è perché permette questo? Non voglio più vivere. Penso che ci separeranno, forse non vedrò più mio fratello. Perché? Perché Putin ci voleva salvare? Vivevamo così bene, avevamo comprato persino la macchina. Il signor Kolja aveva promesso di insegnarmi a guidare. Hanno bruciato pure l’auto. La nostra casa non c’è più. Voglio morire, ma non posso. Abbracciate i vostri bambini. Altrimenti, quando non ci sarete più, loro non si ricorderanno il vostro odore. Se riuscirò a resistere e avrò dei figli, li abbraccerò tutto il giorno”.