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Sono passati 700 anni dalla morte di Dante Alighieri e il 2021 è dedicato alla celebrazione dell’evento. Sulla “santificazione” del Sommo Poeta, per dirla con il prof. Francesco Sabatini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca, qualcosa d’importante si era mossa già dall’anno scorso. È dal 25 marzo del 2020, infatti, che lo Stato italiano ha dedicato a Dante Alighieri un giorno del calendario, il Dantedì, che oltre a essere un’occasione istituzionale per iniziative di merito in tutto il territorio nazionale, è un po’ anche l’onomastico di tutti coloro che portano il suo nome, “orfani” fino ad allora di un proprio santo protettore.
Ed è a proposito di protezione, nel senso del bisogno di tutti noi italiani di averla, che la figura di Dante Alighieri si staglia come l’astro di riferimento della letteratura e della geografia poetica del nostro Paese.
Dunque, sotto questo aspetto la nostra bella Italia, con lo splendore della lingua di Dante, ha da 7 secoli un nobile, efficace quanto rassicurante e simbolico ombrello che ci protegge e ci fa sentire uniti nell’idea di un’identità culturale genitrice di quella statuale successiva.
Sardegna Live vuole rievocare per l’occasione, in forma leggera e di facile accesso, la figura del Sommo Poeta nella parte, soprattutto, in cui la nostra memoria ricorre a espressioni dantesche spesso decontestualizzate, a volte anche senza sapere o ricordarne l’autore, per rappresentare con una citazione breve, efficace e compiuta il pensiero di un momento.
È un’iniziativa, la nostra, alla quale ha fatto seguito un’altra idea e cioè un accostamento, con cotanto azzardo, ai versi del Vate fiorentino di qualche riflessione in lingua sarda, variante logudorese, ispirata dai versi medesimi con la sola pretesa di vedere, per una volta, le parole in limba volteggiare anch’esse nel cielo universale della poesia a cui il Sommo poeta ci ha abituati.
“E quindi uscimmo a riveder le stelle”
Soprattutto in questo momento di estremo dolore per lutti e sofferenze, teniamoci stretto come un talismano il celebre verso con cui il Sommo Poeta termina la Divina Commedia e consegna all’Uomo un pertugio di speranza e di fede.
Le parole di Dante riassumono una metafora che nell’immaginario collettivo va, dunque, oltre la visione personale dell’esistenza e del mondo, per sintetizzare, con un’espressione breve quanto efficace e armoniosa, la fine, anche nella vita reale, di un incubo o di una malasorte.
Riportiamo di seguito anche l’ultima terzina del Canto XXXIV dell’Inferno cui segue il verso citato:
“Salimmo sù, el primo e io secondo,
tanto ch’i’ vidi de le cose belle
che porta ‘l ciel, per un pertugio tondo.
E quindi uscimmo a riveder le stelle”
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Úe lúghent sa luna e sas istellas
cúrret su tempus, e mi paret ispantu
su pensamentu ‘olat a cussas cosas bellas
incúe no b’hat tristura, est solu incantu.
Dove brillano la luna e le stelle
Il tempo corre, e mi fa meraviglia
Il pensiero va a quelle cose belle
lì non c’è malinconia, è solo prodigio.