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Fra le innumerevoli figure immaginarie della tradizione sarda, alcune si configurano in un contesto principalmente agropastorale, denso di rimandi evocativi e di credenze che attraversano la storia della Sardegna. Fra le più note quella del Maskinganna (letteralmente “Maestro degli inganni”), altresì conosciuto come s’Ingannadore. Questo essere, assai noto fra contadini, agricoltori e allevatori sardi, viene descritto come un “demone burlone”, multiforme, che il più delle volte prende le sembianze di un folletto, ma che talvolta può assumere anche quelle di un bambino che piange, di una fanciulla che appare e scompare o più raramente di un animale.
DEMONE DI CAMPAGNA. Questo diavolo mascalzone è una creatura fastidiosa, che ama tormentare e prendersi gioco del prossimo. Crea scompiglio nelle greggi e nelle stalle e, soprattutto, disturba il sonno delle persone che riposano, facendole risvegliare terrorizzate. Secondo la tradizione potrebbe inoltre manifestarsi come una voce, senza alcuna conformazione fisica. Il suo habitat naturale è la campagna, e per questo preferisce stare lontano dalle città e dai centri abitati, oltre che evitare le chiese campestri, i cui simboli sacri lo tengono a distanza impedendogli di entrare. L’eventuale contatto con un luogo sacro o benedetto – racconta Pasquale Demurtas nel suo libro “Storie e Leggende della Sardegna” – lo farebbe sparire in una bolla di fumo, impedendogli di far rientro sulla terra per 33 anni. La Chiesa cattolica ha infatti sempre sconsigliato il professare delle leggende popolari, per questo su Maskinganna viene associato alla figura del Demonio.
LEGGENDE DI SARDEGNA. Su Maskinganna è inoltre solito spaventare i viandanti, apparendo all’improvviso in una delle sue tante forme oppure spaventandoli con la sola voce. Questa figura era molto nota nei paesi di Busachi e Paulilatino, nell’oristanese. Anche a Belvì si tramanda la sua leggenda, che però lo vedrebbe protagonista non più nelle campagne ma nei boschi. Qua, un tempo, si narrava la storia secondo cui questi si comportava a seconda dell’indole della persona che incontrava. Nel caso di persone buone, egli poteva anche aiutarle facendo ad esempio trovare del cibo; nel caso di persone cattive si divertiva a spaventarle con voci e suoni, maledizioni, o ancora luci, fiammelle e scintille. Quando questi tornavano nel luogo dell’accaduto per vendicarsi il Maskinganna spariva, lasciando al suo posto della cenere o un fuocherello. Oggi, a questo essere fantastico si rifà anche una maschera della tradizione carnevalesca di Ula Tirso, che riporta in auge “demone burlone” grazie al lavoro dell’Associazione culturale “S’urtzu e sos bardianos”. Questa nasce per opera di un gruppo di appassionati delle tradizioni locali, che grazie ai racconti e alle testimonianze delle precedenti generazioni ripropongono i riti propiziatori del carnevale ulese. Su Maskinganna di Ula Tirso veste un'intera pelle di caprone o montone e indossa cinturoni con appesi dei campanacci. Ai piedi indossa sempre sos cosinzos e sos cambales ed ha il viso rigorosamente tinto di nero.
TRA BENE E MALE. Tante altre, e tutte differenti, sono le versioni riguardanti questa creatura fantastica; tuttavia, sembra che la più veritiera sia quella che lo vedrebbe molto simile nell’aspetto ai sileni e ai satiri di epoca romana, che possono essere considerati a tutti gli effetti diretti antenati. Le leggende creatasi intorno a questo demone, e al fatto di come improvvisamente scomparisse, in realtà non era altro che la spiegazione popolare ai fenomeni di illusione ottica e acustica di cui era ritenuto responsabile. Se è vero che viene principalmente accostato a un essere malefico, talvolta gli si attribuiscono anche caratteristiche positive. Darebbe infatti avvertimenti utili agli esseri umani: pare che un pastore, che sconfinò con il suo gregge in un terreno privato, venne avvisato dal Maskinganna prima che il padrone inferocito arrivasse. Recentemente la figura è stata riconosciuta di interesse culturale dalla Library of Congress degli Stati Uniti.
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