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"Un femminicidio ogni 3 giorni. Su 77 donne, 42 vengono uccise da partner o ex. Rispetto al 2021, nell’anno in corso c’è stato un incremento del 5%.
Durante il primo trimestre del 2022, oltre il 61,4% delle vittime ha dichiarato di subire violenze da anni, dato in aumento sia rispetto al trimestre precedente (57%) sia rispetto al primo trimestre 2021 (53,7%)".
Sono numeri allarmanti quelli riportati dall’Istat, aggiornati al 3 ottobre 2022.
Negli ultimi decenni, e soprattutto negli ultimi anni, sono decisamente aumentate le leggi di tutela delle vittime di violenza. Inoltre la rete costituita da operatori di sostegno psicologico, autorità giudiziarie, avvocati, forze dell’ordine, è sempre più fitta ma, considerati i numeri, tutto ciò non basta a far azzerare o quantomeno diminuire drasticamente la violenza sulle donne.
“I reati di femminicidio, violenza sessuale e stalking, ma anche quelli introdotti dal codice rosso di recente, per come sono stati formulati, sono il frutto di una evoluzione sociale e quindi giurisprudenziale e normativa che negli ultimi decenni ha fatto passi da gigante e tutti gli operatori del diritto sono concordi nel ritenere che il quadro normativo, sebbene già ricco e armonico sia ancora da migliorare” si avanti - afferma Alessandra Ferrara, avvocata iglesiente, ex assessore del Comune di Iglesias alle Politiche sociali, giovanili e dell’Integrazione e socia Fidapa BPW Italy Sezione Sulcis – Necessaria è ovviamente la prevenzione, ma anche far capire alle donne vittime di violenza che la loro condizione può e deve cambiare”.
In questa sede, l’avvocata Ferrara ha raccontato a Sardegna Live il tema della violenza sulle donne in ambito legale, partendo dal l’istante esatto in cui le vittime varcano la soglia del suo studio.
“Il sentimento che prevale è la vergogna unito al senso di colpa: vergogna di confessare le violenze, dell’ammettere di essere continuamente picchiate o vessate anche solo psicologicamente, e paura di ulteriori violenze – prosegue - Molte donne, dopo che iniziano a raccontarmi l’accaduto, si colpevolizzano da sole, quasi auto convincendosi che il partner che le picchia abbia in fondo ragione, che forse quello schiaffo se lo sono meritate, che forse quel calcio non era proprio un calcio, e qui sta a noi legali far capire alla donna che tutto ciò non rientra in una normale relazione sana, che non deve avere paura, che può uscire da quella situazione, e quindi ad andare avanti e denunciare. Ma dopo che denuncia deve essere tutelata!” afferma Ferrara.
“Ovviamente la decisione di proseguire legalmente spetta sempre alla vittima: noi possiamo solo accompagnarla e sostenerla in questo percorso. Tutti coloro che vengono a contatto con un caso di violenza hanno un dovere morale sociale e umano di fornire il 1522, numero nazionale del centro anti violenza, ramificato poi in ogni territorio, supportare la vittima psicologicamente, lavorare con lei sulla emancipazione dalla violenza, accompagnarla dalle forze dell’ordine. Spesso, quando accade, la vittima avverte dei dubbi o si pente: dal momento che erano veramente troppe le donne a ritirare denunce e a ritrattare episodi di violenza, ci sono precise disposizioni normative che “blindano” la querela non più rimettibile, prosegue l’avvocata.
“Se fino a qualche decennio fa a subire le vessazioni erano soprattutto donne economicamente dipendenti dai propri mariti o compagni, adesso un numero sempre più alto di professioniste emancipate stanno denunciando violenze domestiche. Le resistenze spesso sono dettate da storie familiari particolari, all'interno delle quali vi sono figure genitoriali sul modello patriarcale, modello che viene pedissequamente ereditato, che entra, con un biglietto di sola andata e apparentemente senza scampo nella mente della vittima”, dice Alessandra Ferrara.
“Un fenomeno preoccupante che sto riscontrando negli ultimi anni è quello di tanti figli, soprattutto maschi e adolescenti, che nonostante abbiano assistito alle violenze del padre sulla madre e magari essere addirittura intervenuti per difenderla, cercano di convincere la mamma a non denunciare, sempre per vergogna nei confronti della comunità, degli amici, e questo è molto grave, perché spesso la donna vittima di violenza si fa convincere oppure rimanda per volontà dei figli e intanto continua a subire vessazioni” afferma l’avvocata.
Una volta che, superati tutti questi “ostacoli”, la donna trova il coraggio di denunciare, purtroppo non è detto che tutto andrà a buon fine.
“La rete tra legali, forze dell’ordine, operatori che si occupano del sostegno psicologico e assistenti sociali, dev’essere sempre più forte e collaborativa - dice Ferrara – ma spesso gli aggressori continuano con le violenze perché, se esiste il limite della distanza dalla vittima imposto dalla legge, chi dice che il carnefice lo rispetterà? E gli esempi in cui non è stato fatto sono tanti. Sarebbe necessario, per esempio, un braccialetto elettronico per vigilare sulla distanza e maggiori controlli.
Un altro punto dolente è che i centri anti violenza hanno bisogno di sovvenzioni che spesso mancano o sono insufficienti. Sono state stilate diverse leggi che prevedono fondi per risarcimenti alle vittime di violenza, ogni anno il Ministero del Tesoro mette da parte dei fondi destinati alle vittime che purtroppo però sono sempre meno. Tutte queste pecche fanno sì che la legge abbia una riuscita del 70%”.
Durante il processo, gli avvocati sostengono le vittime di violenza aiutandole nella loro consapevolezza e favorendo la loro autostima costantemente, sarebbe certo necessario anche un affiancamento psicologico in modo da lavorare in perfetta sinergia.
“Dobbiamo continuare a sostenere la vittima e soprattutto fare in modo che non faccia passi indietro, asserendo magari che la violenza costituisse un episodio isolato, quando comprendiamo che questo non è vero” dice Alessandra Ferrara.
Per quanto riguarda la scarcerazione del carnefice, una buona notizia, quella di cui abbiamo bisogno, potrebbe essere che le vittime continueranno a essere tutelate in futuro, mentre lui è tenuto costantemente sotto controllo”. La riforma Cartabia prevede dei meccanismi di riparazione tra vittima e carnefice e tra carnefice e lo Stato, ma su questo io ho alcune perplessità, infatti molto spesso tali strumenti sono finalizzati ad ottenere sconti di pena piuttosto che veri ravvedimenti”, conclude Ferrara.
L’avvocato Alessandra Ferrara presenzierà oggi 25 novembre a Buggerru in occasione della seconda edizione del convegno annuale per sensibilizzare sulla violenza sulle donne “In cammino contro la violenza” (LEGGI L'ARTICOLO) e presenterà la sezione “Pregiudizi e diritti”.
Presente all'evento l’avvocata e assessora alle Pari Opportunità, cultura e spettacolo del Comune di Buggerru, socia Fidapa BPW Italy sezione Sulcis, responsabile Task Force violenza e componente CRPO Sardegna, Simona Spada. “Come Comune e come Fidapa, vogliamo sensibilizzare in occasione del 25 novembre su un fenomeno che presenta molte criticità – afferma ai microfoni di Sardegna Live – I provvedimenti legislativi non sono sufficienti. Bisogna lavorare sulle criticità e sulle falle del codice rosso. Si fa di tutto per prevenire ma i dati parlano chiaro: bisogna tenere alta l’attenzione e sensibilizzare”.
“Quest’anno, in occasione del convegno, abbiamo cercato di coinvolgere tutti: centro anti violenza, procure, carabinieri, e la passeggiata serve proprio a fare in modo che partecipino più donne possibili, in modo che possano ascoltare in prima persona informazioni utili sul da farsi, per loro stesse, per amiche, parenti, vicine di casa – prosegue Simona Spada - In Sardegna abbiamo il più alto numero di femminicidi in Italia e i dati non sono mai reali, i casi sono molti di più di quelli segnalati: c’è molto sommerso che non può essere rilevato” afferma Simona Spada.
“Lo scopo del convegno è sensibilizzare e arrivare a un grande numero di persone. A Buggerru, inoltre, il 14 novembre scorso è stata nominata la prima Commissione comunale per le Pari Opportunità, e questa è una gran cosa” conclude Spada.
“Il centro anti violenza deve dire ‘noi ci siamo’” afferma ai microfoni di Sardegna Live la dottoressa Maria Mameli, psicologa e coordinatrice del centro anti violenza di Iglesias, che fa parte di “Associazione Donne al traguardo”, comprendente centri antiviolenza a Cagliari, a Carbonia e a Iglesias, con tante piccole sedi nei comuni limitrofi.
“Fondamentale è far capire alla vittima che noi ci siamo per sostenerla e che l’aiuteremo a prendere decisioni, ma per questo è necessaria una precedente una presa di coscienza, la consapevolezza di una realtà oggettiva e che va cambiata”.
“La vittima è sempre impaurita e diffidente e per questo è importante che riesca a riconoscere oggettivamente la realtà che la circonda, oltre che le proprie risorse e potenzialità, tutto tramite una valutazione che noi svolgiamo in base a linee guida nazionali - prosegue Mameli – è importante un'ampia veduta realistica e consapevole, che parte proprio dalla ricostruzione del sé”.
“Oltre i servizi classici di supporto e sostegno psicologico, c’è l’assistente sociale a livello burocratico, che si occupa maggiormente delle risorse economiche, della costruzione di un curriculum e della conseguente ricerca di un lavoro, qualora la vittima non l’avesse e fosse dipendente economicamente dal marito o partner che le ha imposto violenza”.
Ma il centro anti violenza pensa anche al futuro, con l’organizzazione di eventi nelle scuole, mediante cui si cerca di sensibilizzare le generazioni del futuro, in particolare su stereotipi e pregiudizi.
“Il convegno di Buggerru serve soprattutto a questo: raggiungere e sensibilizzare più persone possibili”.
Maria Mameli tiene a ricordare che “il centro anti violenza ha sedi madre ma tanti sportelli periferici, e raggiungiamo le donne ovunque siano, la reperibilità è di 24 ore su 24, con servizio gratuito”.