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Qualche settimana fa sono andato a trovare il mio amico Giovanni nel suo laboratorio. Giovanni è un ragazzo appassionato di politica e storia ma si interessa anche di temi internazionali. Si accalora difronte alle ingiustizie ed ai politici maneggioni.
Mentre ero da lui è arrivata casualmente la mia amica Denise. Una ragazza, quest'ultima, bella e colta. Occhioni azzurri ammalianti, carattere dolce ma combattivo all'occorrenza, magari un po’ idealista. Non ricordo come, abbiamo intavolato un piccolo dibattito sul conflitto israeliano-palestinese. E li sono emerse le divergenze e i dubbi che attraversano il mondo e i pensieri che lo abitano. Soprattutto da quando, nel 1948, agli ebrei è stata concessa l'opportunità di formare un loro stato sul terreno della Palestina. Quella terra promessa che i perseguitati della Shoah hanno sognato per lungo tempo, avendola trovata scritta nel vecchio testamento. In esso, infatti, si registrano oltre 1000 anni di storia del popolo ebraico vissuto in quella che per loro è “Eretz Israel” (la terra d'Israele).
E qui che le discussioni diventano più animate: per i palestinesi quella terra gli appartiene da quasi 1000 anni, per gli israeliani è la loro patria ancestrale, decisa da Dio, e comunque abitata anche nei secoli più recenti da una folta colonia di ebrei. La mia amica Denise abbraccia in toto le ragioni palestinesi. Dice che se lei fosse una palestinese preferirebbe morire piuttosto che cedere la sua terra al prepotente invasore. Un invasore che ha cacciato i vecchi e fieri abitanti palestinesi occupando con la forza militare i loro pascoli, il suolo per le colture, e magari le loro case. Un invasore che non ha disdegnato gli orrori della tortura e della violenza per riprendersi quella terra santa che da tempo immemorabile considera sua. Il mio amico Giovanni invece assume una posizione un po’ più intermedia, per la quale pur apprezzando l'intraprendenza economica e militare israeliana, ne critica fortemente il metodo.
Si immedesima, pensando al dolore di chi ha perso tutto ed è stato costretto all'angolo. Anche lui dunque propende per quella che a primo acchito è una situazione abbastanza chiara: un invasore e la sua vittima. Ma si sa: le medaglie hanno sempre due facce. E per capirle entrambe bisogna sentir suonare tutte le campane. Cosi, prima di dirvi quale è la mia idea, proviamo insieme ad immergerci nella storia di quei luoghi solo apparentemente cosi lontani da noi.
Per risalire ai primordi della storia ebraica, dobbiamo iniziare dai documenti rinvenuti in Mesopotamia realizzati circa 4000 anni or sono. Tra questi la stele di Merneptah realizzata attorno al 1350 a.c. dove è riportato il nome “Israele”. Insieme alla Bibbia, questi antichissimi documenti descrivono le abitudini di vita dei padri dell'ebraismo: Abramo, suo figlio Isacco e suo nipote Giacobbe. Dopo una fase in cui i loro discendenti furono costretti all'esilio e poi ridotti in schiavitù dagli egiziani, i futuri invasori furono liberati da Mosè che li ricondusse nella loro terra, ancora oggi luogo di conflitti. La paura dei Filistei segnò il passo per la storia ebraica, portando all'istituzione della monarchia. Il Re Davide, sconfitti i terribili nemici, condusse il suo popolo fino a diventare una potenza economica e militare tra le più imponenti dell'epoca. Il figlio Salomone, dal canto suo, rafforzò le relazioni diplomatiche con altri paesi, preferendo la via della pace alle conquiste militari. Fu lui a far erigere in Gerusalemme il primo Tempio, centro quest'ultimo della vita religiosa e simbolo della storia di questo popolo.
Con la conquista babilonese iniziò una nuova fase di esilio per gli ebrei, che nella loro diaspora non hanno mai reciso il legame con quella terra oggi cosi contesa. Questo legame è passato indenne nei secoli di varie dominazioni di questi territori, dai quali sono passati vari conquistatori tra i quali anche i romani ed i crociati. Nel mezzo di questi ultime due dominazioni ci fu quella araba, avvenuta dopo la morte di Maometto ad opera dei califfi. Questa, come quella romana, segnò per gli ebrei una fase buia, nella quale la diversa religione non permetteva loro di avere lo stesso status politico, economico e sociale dei loro dominatori. Il risultato fu l'ennesimo esilio. La