Papa Francesco, parlando con i Gesuiti portoghesi, è tornato ad affrontare il tema legato alle persone omosessuali e transessuali. In particolare, nel dialogo coi Gesuiti a Lisbona in occasione della Gmg reso noto dal direttore della Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, Bergoglio ha osservato: "Io credo che sulla chiamata rivolta a "tutti" non ci sia discussione. Gesù su questo è molto chiaro: tutti. Gli invitati non erano voluti venire alla festa. E allora lui disse di andare ai crocevia e chiamare tutti, tutti, tutti. E affinché resti chiaro, Gesù dice "sani e malati", "giusti e peccatori", tutti, tutti, tutti. In altre parole, la porta è aperta a tutti, tutti hanno un loro spazio nella Chiesa. Come farà ciascuno a viverlo? Aiutiamo le persone a vivere in modo che possano occupare quel posto con maturità, e questo vale per ogni tipo di persona. A Roma conosco un sacerdote che lavora con ragazzi omosessuali. È evidente che oggi il tema dell’omosessualità è molto forte, e la sensibilità a questo proposito cambia a seconda delle circostanze storiche. Ma quello che a me non piace affatto, in generale, è che si guardi al cosiddetto "peccato della carne" con la lente d’ingrandimento, così come si è fatto per tanto tempo a proposito del sesto comandamento. Se sfruttavi gli operai, se mentivi o imbrogliavi, non contava, e invece erano rilevanti i peccati sotto la cintola”.

“Dunque - ha ribadito il Papa - sono tutti invitati. Questo è il punto. E occorre applicare l’atteggiamento pastorale più opportuno per ciascuno. Non bisogna essere superficiali e ingenui, obbligando le persone a cose e comportamenti per i quali non sono ancora maturi, o non sono capaci. Per accompagnare spiritualmente e pastoralmente le persone ci vuole molta sensibilità e creatività. Ma tutti, tutti, tutti, sono chiamati a vivere nella Chiesa: non dimenticatelo mai”. “Alle udienze generali del mercoledì - ha raccontato ancora il Pontefice- partecipa una suora di Charles de Foucauld, suor Geneviève, che ha ottant’anni ed è cappellana del Circo di Roma con altre due suore. Vivono in una casa viaggiante a fianco del Circo. Un giorno sono andato a trovarle. Hanno la cappellina, la cucina, la zona in cui dormono, tutto ben organizzato. E quella suora lavora molto anche con ragazze che sono transgender. E un giorno mi ha detto: "Le posso portare all’udienza?". "Certo!", le ho risposto, "perché no?". E vengono sempre gruppi di donne trans. La prima volta che sono venute, piangevano. Io chiedevo loro il perché. Una di queste donne mi ha detto: "Non pensavo che il Papa potesse ricevermi!". Poi, dopo la prima sorpresa, hanno preso l’abitudine di venire. Qualcuna mi scrive, e io le rispondo via mail. Tutti sono invitati! Mi sono reso conto che queste persone si sentono rifiutate, ed è davvero dura”.

“Io non ho paura della società sessualizzata, no; mi fa paura come ci rapportiamo con essa, questo sì. Ho paura dei criteri mondani”, ha sottolineato il Papa aggiungendo: “Preferisco usare il termine 'mondani', piuttosto che 'sessualizzati', perché il termine abbraccia tutto. Per esempio, la smania di promuoversi. L’ansia di risaltare o, come diciamo in Argentina, di "arrampicarsi". E pensare che chi si arrampica finisce per farsi male da solo. Mia nonna, che era una vecchia saggia, un giorno ci disse: "Nella vita bisogna progredire", comprare un terreno, i mattoni, la casa… Parole chiare, venivano dall’esperienza dell’emigrante, anche papà era un immigrato. "Ma non confondete il progredire", aggiungeva la nonna, "con l’arrampicarsi. Infatti, chi si arrampica sale, sale, sale e, invece di avere una casa, di mettere su un’impresa, di lavorare o farsi una posizione, quando è in alto l’unica cosa che mostra è il sedere". Questa è sapienza”.