Il racconto cui partecipiamo la sera del 27 dicembre, presso il Teatro Eliseo di Nuoro, nasce dall'incontro casuale di due cantautrici: Grazia di Michele e Marisa Sannia.

Tempo fa, in occasione di una mostra a Torino, fu chiesto a Grazia di musicare dei versi di Federico García Lorca.

Il curatore le suggerì, per trovare spunti, di ascoltare il disco (uscito postumo) di Marisa Sannia “Rosa de papel”. Uno scrigno riempito con amore e passione dalla cantautrice di Iglesias in cui la Di Michele (attiva in tanti progetti sia personali sia di riscoperta delle pagine meno note dei cantautori) si immerge, rimanendo affascinata dalla produzione della sua collega prematuramente scomparsa nel 2008.

Il risultato è uno spettacolo dal titolo “Poesie di carta” dove emerge l'amore della Sannia per la poesia, anche attraverso omaggi ad Antioco Casula, a Francesco Masala, a Federico Garcia Lorca (“Rosa de papel” è il titolo di una sua opera giovanile) ma anche a sé stessa. Si alterneranno brani del suo ultimo lavoro-testamento “Rosa de papel” a successivi più noti a pagine meno note (“Come stasera mai”, per esempio, scritta per lei da Sergio Endrigo).

Dopo il debutto a San Teodoro, lo spettacolo è stato replicato diverse volte a Roma e in diverse città della nostra isola ed è valso a Grazia il prestigioso premio Maria Carta.

Sul palco con la cantautrice -oltre alla sua chitarra, che risuona accordi curati e scintillanti a sostegno della sua poesia fatta musica- gli “storici” musicisti che hanno collaborato con la Sannia: Marco Piras al pianoforte (curatore anche degli arrangiamenti), Fabiano Lelli alla chitarra, Fabrizio Fabiano al violoncello, Ermanno Dodaro al contrabbasso e Bruno Piccinnu alle percussioni.

“L'isola di silenzio è l'ancora in mezzo al mare. Il vento è il suo respiro”. Queste parole di Marisa iniziano la serata, e ci presentano quelli che saranno un po' i protagonisti di questo viaggio: il vento, il mare, l'amore per la propria terra, che sembrano ballare tra i presenti sulle note che si diffondono dal palco. .

Cullati dalla musica e guidati dagli intermezzi parlati quali traduzione di testi, pensieri di Marisa e stralci di spettacoli teatrali, si passa senza accorgersene dalle atmosfere spagnole a quelle mediterranee e della nostra terra “cuore e vento”, come qualcuno la ha definita.

“Melagrana Ruja'' (composta assieme a Francesco Masala) apre la scaletta trascinando subito nel pathos della narrazione. “Madre, lascia piangere la stella della sera, ho freddo e sonno, non ho dolore, coprimi di terra e cantami una ninna nanna”. Parole che sembrano rievocare un ultimo desiderio di chi si appresta a lasciare questa terra: ritornare alla tranquillità del grembo materno.

“He cerrado mi balcon”, commovente canzone testamento, manifesta il desiderio di García Lorca per quando lui sarà morto: lasciare il balcone aperto, senza chiudersi in atmosfere cupe e tristi. Così potrà continuare a sentire il bimbo che sbuccia l’arancia ed il grano che viene mietuto. Testimonianza che “i labirinti che crea il tempo svaniscono. Resta solo il desiderio”.

È ora il momento de “L’abanico”: una melodia allegra apparentemente semplice ma che armonicamente è la più difficile della scaletta. Si parla di un vento in un campo di olivi secolari, che scompiglia i loro rami pieni di olive. E chiudendo gli occhi, ci sembra proprio di sentirlo questo vento, che ci accarezza la faccia illuminata dal sole mentre il naso è stuzzicato dai profumi della campagna mediterranea, dove tutti noi almeno una volta abbiamo camminato con i nostri nonni.

Non mancano all’appello “Casa bianca” (con l’attiva partecipazione del pubblico), probabilmente il brano più noto di Marisa, dopo il successo al Festival di Sanremo 1968 e “Ninna nanna de Anton’Istene”, che riprende l’omonima poesia con cui Antioco Casula culla il più giovane dei suoi figli in una toccante atmosfera di auguri e di speranze.

Prima dei saluti finali, la cantautrice romana regala al pubblico un bis eseguendo nuovamente (su richiesta degli spettatori stessi) “Ninna nanna” e la sua “Io e mio padre”. Quest’ultimo brano, dal particolare valore per la sua autrice, è un dialogo in musica tra lei ed il suo papà (il cui ricordo si rinnova ad ogni esecuzione) ed è stato presentato al Festival di Sanremo 1990.

La poesia è come un dono che si riceve. La poesia vuole amanti. E questa sera, grazie a Grazia, li ha trovati nella platea del Teatro Eliseo, nei cui visi e nel cui lungo applauso si coglie la testimonianza degli spunti trasmessi da questo viaggio: amare (la propria terra, i propri cari o quello che più ci fa sognare)… ed amarsi.