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Aziende in crisi, bollette da capogiro con disoccupazione e povertà in aumento esponenziale, ma a Roma va in onda il teatrino della politica, la “messa in scena” di una liturgia stantia e fuori tempo quanto irritante.
Non si parla di politica nel Transatlantico e dintorni. È vietato. Le idee di destra, di sinistra, di centro o di quant’altro non c’entrano davvero nulla. Prevalgono, piuttosto, gli interessi di parte e, marcatamente, anche quelli legati alle carriere personali che arrivano a oscurare, perché ogni voto vale uno, qualsiasi tipo di logica di quella che vorremmo si chiamasse ancora sana politica. I giornali oggi parlano della “carta Casellati”. Ma potrebbe essere anche quella di Carlo Nordio, oppure quella di Pier Ferdinando Casini o Mario Draghi.
Nomi che vengono lanciati nella giungla di infidi tentativi o dei test di partito solo per essere “bruciati”. Nomi, alcuni di questi, di eccellenza per curriculum professionale e onestà intellettuale, che vengono davvero usati come fossero delle cavie in un surreale quanto massacrante gioco d’azzardo.
Matteo Salvini dichiara: “Se reggiamo bene possiamo dare le carte, altrimenti ci acconceremo a un'intesa diversa”. Ma da Fratelli d’Italia emergono, al quinto giorno di votazioni, dichiarazioni importanti: “Non ci piace il metodo”. Mentre il governatore della Liguria Giovanni Toti sbotta: “Se continua così io me ne torno in Liguria a lavorare, non si può continuare con i giochetti”. Clemente Mastella da Enrico Mentana sembra avere le idee chiare e parla così del leader della Lega: “Ha difficoltà oggettive, si muove a zig-zag”. E intanto, su Rai 2 va in onda un’intervista a Umberto Bossi che dice: “Chi doveva pensare non ha pensato prima alle soluzioni”.
È assurdo sentirsi dire che si sta pensando a una figura autorevole che rappresenti l’Italia e che per questo serve del tempo.
Il vero problema è se spaccare il centrodestra oppure la maggioranza di governo.
C’è il serio rischio che la scelta del nuovo inquilino del Colle possa far cadere il governo e così, parlamentari che mai più, parliamoci in modo chiaro e onesto, potrebbero rimettere piede nei Palazzi della politica, tentano di aggrapparsi a chi secondo loro sia in grado di garantire almeno fino alle prossime elezioni la loro stessa poltrona.
Intanto, ai piani alti del Pd c’è chi esclama “Non ci credo, è in preda alla sindrome da citofono”, parlando di Matteo Salvini e delle sue richieste di candidatura al Quirinale rivolte a diversi nomi autorevoli del panorama politico e non.
Oppure, è proprio la caduta del governo il vero obiettivo? Mario Draghi non consente spazi e piano piano “consuma” le leadership. E questo, come è possibile immaginare, non piace ai grandi capi dei partiti che vogliono essere protagonisti delle manovre dove amano poi sguazzare.
Il Partito democratico alimenta un sospetto: Salvini e Conte stanno creando un asse per tramare alle spalle dei rispettivi alleati? Al Nazareno, dove pensano che in ogni caso tutto sia possibile, avvertono che un’alleanza di questo tipo sarebbe determinante per la caduta del governo e per chiamare il Paese al voto anticipato.
Nel walzer dei nomi di un teatrino della politica allestito ad arte, i giornalisti provano a fare sintesi delle giornate che si stanno vivendo per restituire un quadro di facile lettura ai cittadini italiani.
Appostamenti, interviste e dichiarazioni. Corre da una parte all’altra anche Di Maio che ieri, ma è solo un esempio, alle richieste dei cronisti di rilasciare una dichiarazione per far capire in quale direzione si muovesse il Movimento 5 Stelle, ha detto stizzito e con tono piccato: “Lasciateci lavorare”.
Ma i giornalisti fanno il loro mestiere, sono lì per informare i cittadini e quindi lavorano anch’essi. L’informazione in generale sempre più capillare, le dirette televisive, sono lì a far sapere quanto in altri tempi non era dato a sapere.
Ecco perché oggi uno scrutinio di voti privo dell’intenzione di eleggere qualcuno, attraverso schede bianche, astensioni o nominativi inutili allo scopo del presidente della Repubblica, è il terminale di un procedimento elettorale sinonimo di farsa, teatrale, appunto.
Forse è arrivato il momento di cambiare le regole del gioco. A buon intenditore, poche parole, anche se al momento, ma non da ora, di veri intenditori la nostra classe politica è tristemente orfana.