Oggi, i lavori, angustiati e tormentati da antichi retaggi, delle diplomazie europee per dare finalmente un volto politico unitario al vecchio continente, ieri, ovvero esattamente cento anni fa, la Grande Guerra, che ancora di più, dopo tanto tempo, possiamo definire tanto fratricida quanto gratuita e irresponsabile.

Una Guerra dettata dalla sete di conquista e di espansione territoriale non dei popoli quanto dei loro condottieri, avidi di potere e sempre lontani anni luce dal concetto dell’interesse generale e, soprattutto, da quella  posizione di centralità della persona rispetto a tutto ciò che, al contrario, deve soggiacere di fronte ai diritti fondamentali della stessa.

È noto, la Prima Guerra Mondiale è costata all’Italia oltre 650 mila morti. Un’orribile carneficina. “Sono stanco di fare il macellaio. Fino adesso avevo fatto l’ufficiale. Ora invece bisogna portare gli uomini al massacro senza scopo. E alla fine il cuore si spezza”. È una frase di Emilio Lussu pronunciata sullo Zebio(v. “Emilio Lussu” di Camillo Bellieni e “Storia della Brigata “Sassari” di Giuseppina Fois).  Un tiro della nostra artiglieria “non riesce in molti casi neppure a scalfire i trinceramenti avversari ottenendo di mettere in allarme gli austriaci prima dell’assalto.” ( v. Storia della Brigata “Sassari” di Giuseppina Fois). Una lotta impari di fronte  a un nemico più organizzato, più preparato e complessivamente più forte.

Al cospetto di un’evidente impotenza, i nostri soldati non avevano altra possibilità. Dovevano, comunque, affrontare il nemico, a ogni costo, richiamandosi essenzialmente al proprio coraggio e a quello della loro gente, piuttosto che all’efficacia dell’azione militare. Da questo impeto di orgoglio è nato il mito della Brigata Sassari. Prudenza, suggerivano i genitori ai figli in partenza per la guerra, ma mai codardia. Uomini veri, innanzitutto, a qualsiasi costo.

Sardegna Live, a cento anni di distanza dai tragici eventi della Grande Guerra, vuole riportare a oggi, per quanto possibile, ma comunque in modo significativo e simbolico,  qualche spunto delle cronache di allora. Nell’offerta di  siffatto servizio, per ora, ci siamo richiamati  a “La Domenica del Corriere”, mitico e popolare settimanale periodico del Corriere della Sera fondato nel 1899 e chiuso nel 1989.

Ci limiteremo a proporre, ogni settimana, da oggi,18 luglio, la prima pagina,  congiuntamente con un’altra che riporta, nella tragica sequenza degli eventi, i nomi e le fotografie dei caduti sul campo di battaglia. 

La rievocazione vuole far parte di tutti quei messaggi forti che devono tenere ben vivo dentro di noi, dai bambini agli adulti, lo spirito con cui hanno combattuto i giovani soldati, fino anche all’estremo sacrificio, che alla loro età pensavano di vivere una vita normale, così come quella, oggi, dei nostri figli. Per loro non è avvenuto così. Purtroppo, in una società mutata nel tempo e in cui tutto sembra prodursi e consumarsi velocemente, ci si dimentica troppo facilmente del passato che è stato il vissuto, troppo spesso e inutilmente tragico, appunto, dei nostri genitori, nonni o familiari. Però, non è così.

Allentare il ricordo e la memoria potrebbe voler significare, ancora una volta, dopo una seconda devastante e autodistruttiva guerra mondiale, cadere nella trappola, quella dell’inesperienza, dell’allontanamento, per sempre, dai valori o di una lezione ignorata o sottovalutata, che potrebbe rivelarsi fatale di fronte a un  nemico visto, all’improvviso, nel nostro orizzonte. Certo, se il discorso si allargasse, com’è d’auspicio, a tutti i popoli vissuti con l’esperienza della guerra, cioè tutti, ebbene, non ci sarebbero più nemici.

 

LA DOMENICA DEL CORRIERE 11 - 18 LUGLIO 2015