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Si è spento oggi all’età di 96 anni Ciriaco Calvisi, ex esponente del banditismo sardo, noto con il diminutivo di "Chircheddu".
La sua vita è stata segnata da una lunga latitanza e da una storia giudiziaria complessa e controversa, che lo ha reso un personaggio discusso e al centro delle cronache.
IL LATITANTE BUONO
Nato nel 1929, Calvisi lavorava come allevatore nella sua Bitti prima di trascorrere quasi tre decenni alla macchia a partire dal 1961, dopo essere stato condannato a trent'anni di reclusione per l’omicidio del compaesano Andrea Orunesu, avvenuto nel 1957. Un'accusa respinta fino alla fine dal diretto interessato, tanto che, nonostante la sentenza, molti credettero all'innocenza di Chircheddu e l'uomo venne ribattezzato dalla stampa "il latitante buono". Prima di entrare in clandestinità promise alla moglie Caterina: «Tornerò pulito».
UNA VITA ALLA MACCHIA
Durante la sua latitanza, la figlia Luciangela divenne medico, mentre il secondogenito Diego era nato poco dopo la fuga. In quegli anni, Calvisi sarebbe rientrato diverse volte a Bitti in segreto. Una consuetudine della quale le forze dell'ordine non erano all'oscuro. Come riportato da la Repubblica, infatti, il maresciallo dei carabinieri Romundo, che per vent'anni seguì le sue tracce, ammise: «Sapevamo bene che Calvisi spesso veniva in paese. Noi cercavamo di incastrarlo, ma era molto astuto: evitava trappole e tranelli».
Intervistato in uno dei suo covi, Calvisi dichiarò: «In quanto innocente, preferisco morire in campagna piuttosto che trascorrere il resto della vita in una cella».
Durante la sua trentennale esperienza da bandito non venne mai accusato di altri reati né si avvicinò alla realtà criminale che nel secondo '900 popolò le montagne della Sardegna. Fece quello che sapeva fare: il pastore. «Lavoravo, quando potevo – raccontò a la Repubblica –, facendo il pastore, magari sotto falso nome. Pensavo, tanto. E soffrivo. Ma non mi sono mai interessati i banditi, la vendetta. Non è cosa per me».
COSSIGA E LA GRAZIA
La svolta arrivò il 9 giugno del 1990, quando il presidente della Repubblica Francesco Cossiga gli concesse la grazia durante la latitanza, fatto inedito. Ciriaco Calvisi, allora 61enne, poté così tornare alla sua vita e riabbracciare l'anziano padre 88enne Arcangelo, la moglie e i figli.
«La notizia che il presidente della Repubblica ha concesso la grazia a mio marito l'ho appresa dai giornali – dichiarò all'Ansa la moglie Caterina –. È stato un fulmine a ciel sereno, è una notizia troppo bella, da non crederci».
«Ho aspettato per tutti anni la liberazione di mio marito – aggiunse la donna –. Ormai non ci credevo più. Oggi è stata fatta finalmente giustizia, ma purtroppo non ripaga alla mia famiglia questi 29 anni. Il tempo è stato troppo lungo».
In quegli stessi giorni, la figlia Luciangela dichiarò alla stampa: «È un uomo straordinario: ci ha sempre guidato nei momenti di difficoltà dandoci la forza di superare i problemi quotidiani e senza mai farci pesare la sua posizione di latitante».
«In 29 anni ho sofferto le pene dell'inferno e ho rischiato molto – raccontò Calvisi ricordando la latitanza –. Ho avuto freddo e fame. Sono stati anni tristi che non potrò mai dimenticare. Mi sarei costituito solo se fossi stato colpevole di quel delitto. Non ho mai ceduto alla rassegnazione. Mia moglie è una donna di ferro, ha fatto di tutto perché venisse riconosciuta la mia innocenza».
Rientrato a Bitti, ha trascorso gli ultimi anni dedicandosi alla famiglia e mantenendo un forte legame con la sua comunità. La sua scomparsa arriva appena due settimane dopo quella della moglie Caterina. I funerali dell'uomo si terranno nella chiesa parrocchiale di San Giorgio a Bitti.