Ce ne potremmo raccontare tante, ma la verità è una. Mario Balotelli sta andando via, e non solo dal Milan, non solo dall'Italia: sta andando via da sé stesso e da quello che è stato, da quello che poteva essere e invece poi... vabbè.

Sta andando via dalla sua infanzia difficile tra Palermo e Brescia e dalla sua adolescenza tormentata nel cuore del Nord dove la gente di provincia sa essere fredda come l'inverno alpino e per i 'negri' non si aggiunge facilmente un posto a tavola. Sta andando via, Mario, da Concesio dov'è cresciuto e dall'oratorio San Bartolomeo dove ha iniziato a diventare il più grande di tutti, da casa sua, da quei ricordi e da quella consapevolezza che dacché è diventato uomo lo perseguita. La consapevolezza di dover essere un numero 1 e un leader, lui, così sbruffone e così insicuro, così raffinato e così pasticcione. 

C'è qualcosa, qualche equivoco con sé stesso che Balotelli non ha mai chiarito. Sta andando via, ancora, come fece nel 2010 lasciando l'Inter tra le polemiche e due inverni fa salutando Manchester per vestire la sua maglia del cuore, quella rossonera, sotto l'ala protettiva di Adriano Galliani e Silvio Berlusconi. Doveva essere la volta buona e invece no, non lo è stata. Non lo è stata per lui e nemmeno per noi tifosi che su di lui avevamo caricato il peso di tante speranze prima di partire a giugno per i Mondiali in Brasile e insieme a lui siamo precipitati nel baratro di un fallimento calcistico che fa male, tanto male.

Oggi che si fa quasi fatica a chiamarlo Super Mario, Balotelli è ai ferri corti con tutti, malvisto dai compagni, dalle società e dai tifosi, valutato appena 20 milioni dalla cinica bilancia del calciomercato che non fa sconti a nessuno. Lui, che doveva essere un leader, che fu definito "l'uomo più interessante del mondo" dai tabloid inglesi americani e fu copertina del TIME nel 2012.

Lui che "Why always me?", lui che a 18 anni sfidava con irriverenza il grande Cristiano Ronaldo e a Varsavia mostrò i muscoli al mondo come un moderno bronzo di Riace.

Ultima chiamata, Mario. Lo diciamo da