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Negli occhi un grigiore insolito. Gattuso ha appena vinto il suo primo trofeo da allenatore, battendo la Juventus ai rigori, ha mandato in estasi una città che vive di passione, ma a fine partita il suo volto è visibilmente contrito. La squadra si stringe intorno a lui, tutti in cerchio, a raccogliersi in un abbraccio collettivo, e a dimostrazione di profonda gratitudine. Sì, perché sono passate poco più di due settimane da quando Francesca, sorella di Ringhio, è scomparsa prematuramente, all’età di 37 anni, dopo aver accusato un malore.
Paradossalmente in uno dei momenti più complicati della sua vita, il tecnico calabrese ha vissuto una delle più grandi soddisfazioni. Ma Gattuso, che proprio non riesce a festeggiare come vorrebbe, chiama a sé i suoi ragazzi, e al centro del cerchio formatosi esibisce un discorso che, forse per la prima volta nella storia della TV, possiamo sentire tutti, anche da casa.
“Ho visto cuore, ho visto carattere. Qui c’è gente che ha il contratto a scadenza e andrà via, e li vedo piangere... avete dimostrato tanto. Voglio vedere il veleno sempre, lo sapete. Ora giochiamocela sempre alla grande. Bravi, sono orgoglioso di voi”.
Passione, carattere, orgoglio. Sono i concetti chiave di un uomo che nella sua vita ha sempre dovuto lottare con i denti per raggiungere i traguardi. L’ha fatto anche stavolta, quando in pochi ci credevano, ripartendo da zero. Perché quando in uno sport come il calcio porti a termine una carriera come quella di Rino Gattuso, puoi considerarti un privilegiato. Tanti suoi colleghi, godendo della fama che li accompagnava sul campo, si sono subito fiondati in realtà più grandi di loro, nella maggior parte dei casi fallendo miseramente. Lui no, ha navigato nelle sabbie mobili, ha fatto la gavetta, la stessa che fece vent’anni fa quando mosse i primi passi da calciatore professionista.
E’ ripartito da lontano, più precisamente dalla Svizzera, quando nel 2013 assunse il ruolo di allenatore-giocatore al Sion. Al termine di questa difficile esperienza vola a Palermo, alla corte di Zamparini, celebre per la sua nomea da “mangia allenatori”, ed infatti alla sesta giornata è subito esonero. Altra esperienza, altro Paese, questa volta in Grecia tra le file dell’Ofi Creta; qui lavora in condizioni estreme con i giocatori (e lui stesso) senza stipendio e strutture adatte. Torna in Italia, a Pisa, dove rimarrà due stagioni, il primo anno riesce ad ottenere la promozione dalla Lega Pro alla Serie B, mentre l’anno seguente non riuscirà a salvare i suoi dalla retrocessione, in un clima di gravissime vicissitudini societarie, riuscendo comunque ad entrare nel cuore dei tifosi.
Nel 2017 approda alla primavera del Milan, ma dopo pochi mesi sarà promosso in prima squadra in seguito all’esonero di Montella. E’ un sogno che si avvera, tornare a rappresentare i colori del cuore in veste di allenatore. Prenderà una squadra demoralizzata a metà classifica, e riuscirà, fra alti e bassi, a condurla al sesto posto. Nella seconda stagione alla guida del club meneghino, sfiorerà l’impresa, vedendo sfumare a pochi minuti dal termine del campionato la qualificazione in Champions League. Il resto è storia recente, arrivato a dicembre, ha rivitalizzato un Napoli irriconoscibile, portandolo al successo di ieri sera, contro i rivali di sempre e recuperando un gruppo che più che mai ha trovato una guida.
Dopo i festeggiamenti, ha dichiarato ai microfoni: “A me la vita, soprattutto il calcio, mi ha dato di più di quello che ho dato io, mi ha fatto cristiano, uomo, forte economicamente. Nella vita pensi sempre che deve toccare prima ai tuoi genitori, quando succede quello che è successo a me fai fatica ad accettarlo". E prosegue: “Ma il calcio mi ha dato tanto e so che non posso mollare di una virgola. Io penso che chi fa questo lavoro deve avere rispetto, siamo fortunati, per questo mi arrabbio, per questo mi arrabbio, perché voglio gente che ci metta passione. Ho fatto più di quello che potevo fare. Poi credo che esista un Dio del calcio, quando semini bene raccogli".
Queste le parole di Gattuso, ancora una volta a dimostrazione che per vivere in un mondo complesso e governato da interessi come quello del calcio, non per forza bisogna mostrarsi come richiedono determinati standard. Ringhio a 42 anni, dopo aver vinto tutto, è rimasto sempre uguale, forse per questo facciamo un po’ tutti il tifo per lui.