Come se non fosse sufficiente la quantità di elogi che ha ricevuto in oltre trent'anni di carriera artistica, negli ultimi tempi Moretti si è fatto pure una fama di profeta. Il finale de Il Caimano racconta la condanna in terzo grado di giudizio dell'imputato Silvio Berlusconi. E fin qui, tutto sommato, non ci voleva neanche un enorme sforzo di fantasia.

Risulta assai più sconvolgente l'intuizione sfoderata per il suo lungometraggio datato 2011, Habemus papam. Si parla infatti di un uomo che, eletto dai cardinali per sedere sullo scranno che fu di Pietro, non se la sente e scappa via, tormentato da un peso che non è in grado di reggere. Scappa per davvero questo neo papa, da quel balcone ove di lì a poco avrebbe mostrato il suo volto alla folla osannante. È la fuga di un uomo, quella che seguiamo nel film; le esitazioni, i grovigli dell'animo, le titubanze e l'improvvisa spinta volitiva di un essere umano fatto di carne, ossa e cartilagini.

Prima che la pellicola venisse distribuita erano circolate  un po' di indiscrezioni , quindi più o meno se ne conosceva il contenuto. Nondimeno, una volta uscita nelle sale la sorpresa è stata grande: tipico di Moretti spiazzare tutti, concedere giusto qualche anticipazione, lasciando però alla gente il gusto di scoprire il meglio al cinema, seduti comodamente nelle poltroncine. È piaciuto tanto al pubblico laico questo papa Melville, interpretato da un magistrale Michel Piccoli. Un personaggio, quello in cui si è immedesimato, che fisicamente ricorda Angelo Roncalli, ma privo di quella stabilità psicologica che invece il Papa buono possedeva. Se i laici guardavano con simpatia a Giovanni XXIII, tanto più osservano con sguardo complice questo papa morettiano, attanagliato dal dubbio e incapace di dispensare certezze.

Ma c'è di più: una buona fetta dell'opinione pubblica cattolica ha apprezzato il film; perfino Avvenire, quotidiano cattolico della CEI, ha espresso un giudizio sostanzialmente positivo, pur con qualche diplomatico distinguo. Una buona notizia, certo, che il regista romano abbia fatto un buon lavoro, ma ancor di più lo è che questo film abbia ottenuto un gradimento così trasversale, soddisfacendo orientamenti culturali molto differenti.
 

I grandi temi dei film di Moretti -Morte, Politica, Religione- sono un macrotesto, una cornice che ospita ciò che a lui sta veramente a cuore raccontare: le storie di vita vissute, le traversie del quotidiano e il sollievo, una tantum, di un piacevole quanto effimero “centro di gravità permanente”. Nel cinema di Nanni -tendenzialmente amaro, nonostante i frequenti balugini d'ironia- assistiamo sempre alla sfida  di un uomo che cerca di schivare il gorgo dell'abisso: ne La stanza del figlio, è la perdita del figlio maschio; ne Il Caimano, una carriera artistica sull’orlo del fallimento.

In Habemus papam, l’abisso più profondo di tutti: un signore che non se la sente di diventare vicario di Cristo; un essere “umano, troppo umano” che considera se stesso gracile, inadatto a caricarsi sopra le spalle il peso di un pontificato.
 

Certamente in questo film è presente una disamina sincera di temi filosofici alti. Trattandosi però di un'opera di Moretti, è logico che la comicità faccia capolino spesso e volentieri. Le molte scene esilaranti, come ad esempio il torneo di pallavolo coi cardinali, non sono però piazzate lì a caso: tragedia e farsa secondo il regista devono palleggiare fra di loro. Il titolo della canzone che accompagna la danza del (non) papa Melville, Todo cambia, riassume il senso di tutto il film:  cambia la Chiesa e cambiano -qualora esercitino il libero arbitrio- anche gli uomini che vivono dentro la Chiesa, in un vorticoso alternarsi di dramma e di commedia. Cambia anche Moretti.