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Spesso, ma le interpretazioni sono libere, si dice che soltanto un marziano può eliminare in tutto o in parte certe anomalie o distorsioni della società in cui viviamo. Cosa impossibile, invece, per un terrestre perché, come dire, parte in causa. Nel nostro Paese, sono lustri che il cittadino è sepolto da fiumi di parole di una classe politica pronta a slacciare le cinture, per una guida spericolata e distante dall’interesse generale, subito dopo la consultazione elettorale. Fiumi che sfociano in un oceano in cui i più deboli, soprattutto, sono destinati a soffrire o a morire a causa delle inique e asfissianti manovre economico-finanziarie che da diverso tempo hanno messo in ginocchio la classe media e spedito sotto la soglia della povertà chi già si trovava con l’acqua alla gola.
Eppure, il caso non di un marziano vero, ma di un umano che voleva fare l’alieno, in Italia c’è stato. Tale caso ha riguardato l’ex sindaco di Roma, Ignazio Marino, che prese al volo, facendola propria dopo aver tolto il velo dell’ironia, l’affermazione rivoltagli dal predecessore, Gianni Alemanno, che due anni e mezzo fa definì l’allora candidato sindaco un marziano, cioè un velleitario.
Bocciato su tutta la linea, a metà strada del mandato, dagli stessi colleghi di partito, Marino è stato mandato via di forza, nel senso che era contrario ad andarsene sua sponte, e in modo clamoroso per come si sono svolti gli ultimi episodi che hanno portato al suo defenestramento. L’accusa rivoltagli dai vertici del Nazareno è nota: tradimento dei compiti affidatigli e della tenuta, anche a livello d’immagine, di un ruolo di così tanta rilevanza istituzionale in una città che è capitale d’Italia.
E così, Marino è caduto nella polvere neanche senza l’onore delle armi. E’ stato messo alla porta a malo modo, formalmente con una condotta inappuntabile sul piano delle procedure, dopo aver insistito nel non volersene andare di sua spontanea volontà. Il de profundis, silente quanto liberatorio, l’ ha intonato la sua stessa maggioranza, con qualche aiutino, in consiglio comunale attraverso le “semplici” dimissioni dei consiglieri ex amici che hanno tolto all’ex sindaco la sabbia da sotto i piedi per farlo cadere gambe all’aria.
Come si dice in tutte le italiche contrade e con un gergo di moda, tolto un sindaco, palla al centro e si riparte per nuove elezioni. Così, almeno, vorrebbe il Pd, e cioè fare finta che nulla sia successo. La pensano diversamente, invece, gli avversari politici di Renzi e compagni, considerati responsabili, senza sconti o vie d’uscita, della débâcle di Marino al Campidoglio.
Il caso dell’ex sindaco è, almeno tecnicamente, chiuso. Però, qualche riflessione su quella che è stata la sua gestione finché è rimasto in carica, è inevitabile. Anche, o soprattutto, perché le complessità e i problemi nell’amministrare una città come Roma non sono tipici della capitale o di tutte le altre amministrazioni civiche, ma comuni a tante altre cose che nel nostro Paese non funzionano o vanno bene solo in parte.
Ebbene, Marino, "ringraziato" Alemanno per il provvido complimento, indossò appena eletto le vesti dell'extraplanetario. Lui era convinto di esserlo sul serio, un marziano. E così, di buona lena, nella prospettiva di voltare pagina in una gestione della città fallimentare da anni, si era anche avvalso, tra gli altri meccanismi di nuovo conio, della presenza in giunta comunale di un magistrato che potesse controllare e verificare da vicino la regolarità della gestione amministrativa della città.
Purtroppo, per come sono andate le cose, l’ex sindaco Marino non solo non si è rivelato quello che voleva e diceva di essere, appunto un marziano, o uomo della p