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“Mia nonna, che adesso non c’è più, mi ha trasmesso l’amore per la medicina tradizionale della nostra Isola e, anche grazie a mio padre, io eseguo quella che aiuta a far sparire i porri, meglio conosciuti come verruche. Quando riesco nel mio intento (perché non sempre il rito funziona) e libero le persone da quegli odiosi bubboni nelle mani o in altre parti del corpo, sono davvero felice. ‘Deusu ti du paghiri’ (Ti ricompensi Dio) è la frase che una signora, di quasi 80 anni, mi ha detto poco tempo fa, ringraziandomi di averla liberata dai fastidiosi porri sulle dita delle mani. Mi ha scaldato il cuore”.
Inizia così la nostra chiacchierata con Ulisse Pinna che, comincia a curiosare nell’affascinante mondo della medicina popolare, quando ha solo 21 anni. Adesso di anni ne ha 41 e, ci guida in un curioso percorso attraverso affascinanti rituali magico-terapeutici della Sardegna antica. La nonna paterna, il padre, gli zii e qualche cugino, sono noti nella piccola comunità di Terraseo - frazione del comune di Narcao - per la capacità di aiutare alcuni ammalati con preghiere e singolari riti. Un particolare “sistema di cura” custodito dalla nostra Isola con dedizione e rispetto, che ancora oggi, viene utilizzato molto più di quanto si possa pensare. E, anche se fa storcere il naso a molti, è innegabile che alcune volte abbia inaspettati e inspiegabili esiti di guarigione.
“È possibile fare la “medicina” addirittura per allontanare gli uccellini dalle vigne, per esempio, e impedire loro di fare strage completa dell’uva. Oppure far smettere i cani di ululare” spiega Ulisse e sorride vedendo la nostra faccia sbigottita.
“Io tengo in modo particolare alla medicina popolare sarda e ai riti utilizzati per metterla in pratica - continua - perché è un dono della mia famiglia. Soprattutto mia nonna Cicita si è sempre raccomandata affinché io riuscissi a comprenderne le pratiche e, ad apprezzare tutte le sfaccettature del “guaritore tradizionale”. Lei, ha nutrito la mia curiosità per quel mondo che continuo a vedere misterioso e affascinate e, la ringrazio ancora. Ricordo quando mi ripeteva di stare attento, ascoltare e non dimenticare preghiere e rituali: ‘Fillu miu impara sa mexina sarda, depisi imparai beni’ (Figlio mio impara la medicina sarda, devi imparare bene), ci racconta Ulisse con un po’ di malinconia sul volto, ma con gli occhi pieni di orgoglio e fierezza per sua nonna. Riusciva anche ad aiutare le neomamme che, rischiavano di smettere di allattare il proprio bambino a causa della riduzione del latte materno, con “sa mexina de su latti pigau”, per esempio. Si rivolgevano a lei le persone che soffrivano di sciatica o le vittime di fratture da caduta, insomma conosceva molti antichi rimedi della medicina sarda e li metteva a disposizione di chiunque le chiedesse aiuto”.
Tzia Cicita era una donna molto amata a Terraseo e in tutti i paesi limitrofi. Aiutava gli ammalati che ricompensavano il favore ottenuto con uova, pasta fresca o olio d’oliva. Perché non era consentito (ed è ancora così) ricevere un compenso economico per “sa mexina sarda”, pena l’inutilità del rito. Insomma, una gestione della malattia che spesso assumeva contorni magici, in una società agropastorale vittima di limitazioni economiche, culturali e geografiche. Adesso siamo lontani da tutto questo, ma la nostra medicina popolare resiste ancora e, continua a conquistare chi ha curiosità e voglia di scoprire, proprio come Ulisse.
“Ho letto molto e mi sono documentato sui vari passaggi relativi ai rituali per guarire alcune malattie, ma posso dire con assoluta convinzione che senza la fede in questo tipo di rimedi e prima di tutto in Dio, non può funzionare - afferma prima di fare una breve pausa - io faccio molto spesso la ‘medicina’ per far sparire i porri - continua - a nessuno piace avere quelle brutte escrescenze della pelle che tutti conosciamo, non dolorose ma molto sgradevoli”.
Non riusciamo a contenere il desiderio di sapere di più e chiediamo a Ulisse i dettagli. Lui sottolinea il fatto che molti aspetti del rito sono segreti e non si possono raccontare, se non alle persone che hanno intenzione di metterli in pratica con passione e devozione, e ci racconta solo le cose che può rivelare.
“Il rituale per farli scomparire, ovviamente, varia di zona in zona. C’è chi deve rubare un pezzo di carne e portarlo a chi compie il rito che lo sotterra in un posto isolato, e quando la carne va in putrefazione, spariscono i porri. Chi, invece, deve usare il fegato di gallina che poi va gettato nel pozzo, chi butta il sale dentro il forno girato di spalle o chi usa il succo delle foglie di fico e le applica sui porri - rivela - Io eseguo il mio rito così: esco da casa la mattina prima che sorga il sole e, stando attento a non essere visto, mi metto di fronte ad un albero di rovo dal quale strappo una foglia e pronuncio questa frase: “Così, come si secca questa foglia, così scompariranno i porri di…..” poi la butto alle mie spalle e recito tre Padre Nostro e tre Credo. Tutto deve essere fatto in luna calante. La funzione della luna in questi riti è importantissima”.
Ascoltiamo Ulisse con grande interesse e lui prosegue con una precisazione: “Io non faccio magie, non sono un mago, è semplicemente la persona che sceglie questo tipo di “medicina” a guarire se stesso con la fede. Deve credere che funzionerà e così sarà. Ma, se continua a fare domande o ad avere dubbi è certo che il rito sarà stato inutile - dichiara - nessuna domanda, perciò, a me che eseguo il rituale: ’ma quando spariscono? Quanto tempo ci vuole?’ L’insistenza non serve, non funziona così, sa mexina sarda si fa e poi ci si dimentica di averla fatta, questo innesca nella mente un particolare e sconosciuto meccanismo e il rito funziona davvero, ma ripeto non è magia e, soprattutto queste pratiche non devono sostituire mai la medicina convenzionale, si possono usare solo laddove è possibile farlo con serenità. L’unica cosa che può dirmi la persona che ricorre a questa ‘medicina’ è: ‘Deusu ti du paghiri’. Solo un semplice ringraziamento. Io lo faccio con fede e piacere e non ho nessun tipo di presunzione nel farlo - aggiunge prima di salutarci - perché non è mai certa e scontata la riuscita”.