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In tempi di videogame e consolle, app cliccatissime e gamer seguitissimi sui social, è interessante ricordare i giochi del passato in Sardegna. Straordinariamente semplici e al contempo sorprendentemente ingegnosi, hanno rappresentato non solo un momento di svago, ma un’occasione di crescita e scoperta.
Sos caddittos de ferula (cavallini realizzati con la pianta infestante nota come finocchiaccio o ferula) erano fra i giochi preferiti dai bambini. “Imitavamo gli adulti, i nostri padri e i nostri fratelli maggiori che vedevamo andare in campagna a cavallo – racconta nonno Aldo –. Diventavamo cowboy e indiani, la fantasia era la benzina delle nostre giornate e ci inseguivamo a vicenda impersonando i buoni e i cattivi e immaginando scene da film. Oppure imitavamo le gare che vedevano protagonisti gli adulti nelle feste di paese. E quando a furia di essere trascinato in strada il cavallino si rompeva, correvamo a chiedere ai nostri genitori che ce ne costruissero un altro”.
Sas pupìas de istratzu (le bambole di pezza) erano invece il sogno delle bimbe. Essendo realizzate anch’esse in casa, con materiali facili da reperire, venivano modellate alla bell’e meglio con colori sempre diversi. “Pezzetti di legno, lana, scarti di stoffe e stracci venivano assemblati e cuciti dalle mamme e dalle nonne – racconta nonna Lucia –. Gli occhi, la bocca e i lineamenti del viso erano ricamati. Le più fortunate avevano la possibilità di abbellire la propria bambola con qualche bottone, un vero lusso!”.
Sos chilcios (i cerchi della bicicletta). È un gioco tanto antico quanto semplice, che ha fra gli scopi quello di educare alle abilità motorie. "Noi bambini impugnavamo una stecca di metallo - racconta un lettore di Sardegna Live -, dovevamo guidare il nostro cerchio senza toccarlo con le mani. La sfida consisteva nel condurlo per più tempo senza farlo cadere e impedendo per quanto possibile eventuali deviazioni. Tutto intorno, chi non aveva il proprio cerchio, faceva il tifo per l'uno e per l'altro urlando e ridendo a crepapelle".
Sa bardunfula o morocula (la trottola). "Era realizzata in legno - racconta nonno Aldo - a forma di cono con una punta di ferro al centro dell'estremità inferiore. Lungo le scanalature ricavate sulla superficie della trottola veniva avvolta una cordicella che, con un rapido e deciso movimento della mano, permetteva di lanciare il giocattolo imprimendogli la forza necessaria per roteare. Le trottole lanciate dai diversi bambini si sbattevano fra di loro e vinceva il proprietario di quella che resisteva per più tempo agli urti fermandosi per ultima".