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In Sardegna è considerato un’icona gastronomica, un prodotto di antica tradizione che racconta la storia di un popolo e del suo legame con la terra. Eppure, per il resto del mondo, il casu marzu, celebre formaggio con i vermi, è spesso visto con un misto di curiosità e ribrezzo. Tanto che in Svezia ha trovato posto nel Disgusting Food Museum, un’esposizione dedicata ai cibi più estremi e controversi della cultura culinaria mondiale.
Un formaggio “estremo”, ma ricco di storia
Il casu marzu, letteralmente “formaggio marcio" (video in basso), è una specialità casearia ottenuta dalla fermentazione naturale del pecorino sardo, grazie all’azione delle larve della mosca Piophila casei. Questi piccoli ospiti accelerano la decomposizione del formaggio, rendendolo cremoso e intensamente aromatico. Per gli appassionati, è un’esperienza unica di gusto, con un sapore forte e piccante che non ha eguali.
Da secoli, il casu marzu è parte della tradizione pastorale sarda, consumato in occasioni speciali e tramandato come simbolo di resilienza e ingegno. Tuttavia, la produzione e la commercializzazione è vietata dalle norme italiane ed europee per i potenziali rischi per la salute dei consumatori, dovuta alla presenza della Piophila casei.
Dalla Sardegna alla Svezia: un posto nel museo del disgusto
Nel Disgusting Food Museum di Malmö, in Svezia, il casu marzu è esposto accanto a piatti che sfidano i palati più temerari, come il surströmming (aringa fermentata svedese), il balut (uovo fecondato filippino) e il hákarl (squalo putrefatto islandese). L’obiettivo del museo non è solo provocare reazioni di disgusto, ma anche far riflettere sulle differenze culturali legate al cibo: ciò che per alcuni è inaccettabile, per altri è una prelibatezza.
Casu Marzu: patrimonio da proteggere o curiosità da evitare?
L’inserimento del casu marzu in un museo del disgusto ha fatto storcere il naso a molti sardi, che considerano questa scelta un’ingiusta demonizzazione di un prodotto tipico. Dopotutto, la cucina è cultura, e il casu marzu è parte integrante dell’identità della Sardegna.
C’è chi vorrebbe trasformarlo in un prodotto a denominazione protetta, riconoscendone il valore storico e artigianale, e chi invece ritiene che debba restare un’esperienza di nicchia, tramandata solo tra chi è disposto a sfidare le proprie paure culinarie.
Ma una cosa è certa: il casu marzu non lascia nessuno indifferente.