Lo sguardo fisso verso il traguardo in uscita di curva, i tratti arabeggianti del viso irrigiditi dalla tensione agonistica e dalla determinazione. La coda di ricci neri danza sulle spalle a ogni affondo. Le braccia fendono l’aria e accompagnano la falcata elegante delle gambe che, toniche e fasciate, lanciano il corpo verso il trionfo, alla ricerca della gloria sportiva.

Un'esplosione di potenza, un estremo concentrato di tecnica, poco più di venti secondi per mettere in scena la propria parte. Buona la prima, non ci sono repliche, non c’è spazio per correggere eventuali imprecisioni. È la dura vita delle duecentometriste. La dura vita di Dalia Kaddari, 23 anni, punta di diamante del Gruppo sportivo Fiamme Oro della Polizia di Stato.

Dalia, come il fiore che esprime gratitudine e trasmette dignità ed eleganza. Kaddari, come papà Hassan, commerciante originario di Casablanca e da trent’anni residente in Sardegna, a Quartu Sant’Elena, dove ha sposato mamma Monica Alfonso e messo su famiglia (gli altri due figli sono il fratello maggiore Monir, e la sorella Rim).

EXPLOIT IN ARGENTINA

Oggi, Dalia Kaddari è un'atleta vincente e di successo. La velocista azzurra si è presentata al mondo della corsa nel 2018, ancora 17enne, conquistando la medaglia d'argento sui 200 m piani ai Giochi olimpici giovanili di Buenos Aires. Nel 2021, dopo essersi laureata per due anni di seguito campionessa italiana assoluta nel mezzo giro di pista, la consacrazione internazionale agli Europei under 23 di Tallin, con l'affermazione ancora nei 200 m. È la vittoria più dolce, perché le apre le porte dell’Olimpo.

NELL’OLIMPO DEI GRANDI

Ai Giochi di Tokyo del 2021 le gambe tremano per la magia, l’emozione e un infortunio non ancora del tutto smaltito. Così, Dalia Kaddari si ferma in semifinale. Ai Mondiali del 2022 è finalista con la staffetta azzurra e sempre nella 4x100 conquista il bronzo agli Europei di Monaco. Insieme alle compagne, la sprinter sarda macina record e prestazioni storiche che contribuiscono all’imponente crescita del movimento atletica italiana degli ultimi anni.

Alle Olimpiadi di Parigi del 2024 arriva con la fame di chi vuole essere protagonista, ma a causa di una condizione fisica ancora non al top torna a casa senza medaglie e oggi, nel mirino, ha Los Angeles 2028: l’Olimpiade della maturità che sogna di vivere al massimo delle sue potenzialità. La abbiamo intervistata.

Dopo un inizio sui campi da basket, ti sei appassionata all’atletica. Come è successo?

«La passione per l’atletica è nata a scuola. Giocavo a basket da cinque anni, quando un insegnante, il prof. Ignazio Mulas, mi propose di partecipare ai giochi studenteschi. Accettai e vinsi le gare a cui partecipai, battendo altri ragazzi che già correvano e impressionando tutti. Alla fine della seconda media iniziai ad allenarmi in pista, con l'Atletica Tespiense di Quartu, e non ho più smesso. Infine è arrivata la gioia dell'ingresso nel gruppo Fiamme Oro. Non smetterò mai di ringraziare tutti i colleghi e i preparatori che mi hanno affiancato fin dall'inizio».

Ti alleni a Cagliari?

«Esatto. Ho deciso di rimanere in Sardegna. A Quartu, purtroppo, non c'è la pista ed è uno dei miei dispiaceri più grandi: è giusto che la terza città dell’Isola abbia il suo impianto di atletica».

Il tuo allenatore, Fabrizio Fanni, è lo stesso di sempre. Che rapporto avete?

«Un bellissimo rapporto, è come se fosse un padre, una spalla, il mio migliore amico. C'è fiducia, lealtà, rispetto reciproco. Mi fido tanto del suo lavoro. È normale che si crei questo tipo di rapporto quando ti vivi tantissimo. Da 10-11 anni faccio atletica con lui, penso che mi conosca meglio di me stessa».

Quanto è difficile lavorare in Sardegna per un'atleta che entra in un circuito internazionale. Come superi il problema dell'insularità?

«L’aspetto più bello del lavorare in Sardegna è legato al clima sempre perfetto, poi mi trovo benissimo col mio gruppo. Le piste, chiaramente, non sono sempre al top, ma è un problema che riguarda tutta Italia. Certo, allenarsi a Milano o Roma ti dà il vantaggio di poterti confrontare coi colleghi, per me è più complicato. Ma partecipo spesso a raduni federali, il prossimo a metà gennaio in Sicilia».

Come organizzi le tue giornate?

«Mi alleno dal lunedì al sabato alternando training mattutini e pomeridiani. Il resto del mio tempo lo dedico allo studio, allo yoga, al riordinare casa o ai momenti di recupero e cura del benessere: fisioterapista due volte a settimana, osteopata, nutrizionista».

Qual è il tuo piatto preferito?

«Senza dubbio la pizza, ma amo da morire anche i malloreddus, che buoni!».

Da qualche tempo hai avviato gli studi accademici in Criminologia. Come nasce questa nuova sfida?

«L’idea di iscrivermi alla facoltà di Criminologia è nata dopo il mio ingresso nel gruppo sportivo della Polizia di Stato. Il mondo del crime mi ha sempre affascinata. Sono da sempre appassionata di serie tv e trasmissioni come Un giorno in pretura. Domandandomi cosa volessi fare una volta terminata la carriera sportiva, mi sono resa conto che questo era un ambito che mi affascinava. Discuterò la tesi di laurea a marzo».

Quale sarà l'argomento?

«È una storia sarda, la vicenda di Beniamino Zuncheddu (ex pastore di Burcei scagionato di recente dopo aver trascorso 33 anni in carcere a causa di un grave errore giudiziario, ndr)».

L'hai conosciuto?

«L'ho conosciuto per caso, lo racconto nella mia tesi. Ero di rientro da un raduno a Roma e lui viaggiava nel mio stesso aereo, avevo il suo libro in mano perché stavo leggendo il suo racconto proprio in quei giorni. L'ho avvicinato, gli ho chiesto una foto e gli ho parlato della mia intenzione di scrivere la tesi sulla sua storia che mi ha colpito tantissimo per la perseveranza che ha dimostrato».

C’è un gesto scaramantico che precede le tue performance sportive?

«In realtà tendo semplicemente a fare sempre quello che faccio ogni giorno, seguire la mia routine. Cerco di fare le stesse cose che faccio a casa, perché mi fanno stare bene».

Qual è il tuo legame col Marocco?

«È molto forte, ci sono stata pure questa estate. Mi piace avere questa doppia cultura, mi fa impazzire il fatto che io sia nata qui in Italia, ma che per metà sia marocchina. Amo andare a trovare i miei familiari e trascorrere del tempo lì a Casablanca. Lo faccio almeno ogni due anni».

Ci sono colleghi con cui hai stretto un rapporto di amicizia?

«Una delle mie più care amiche è Chiara Gherardi, gareggiavamo insieme fino a poco tempo fa. Sono molto amica anche delle colleghe di staffetta: Alessia Pavese, Zaynab Dosso, Anna Bongiorni».

Il tuo è uno sport impietoso: in pochi secondi si concretizza il lavoro di mesi o addirittura anni. A che pensi negli istanti prima della partenza?

«Cerco di staccare il cervello e concentrarmi sulla gara. Quando scendi in pista devi essere sicuro di quello che hai fatto, sennò l'incertezza ti travolge. Cerco solo di ricordare quello che ho provato in allenamento e di riportarlo in gara. Ci possono essere tanti fattori che non dipendono da te: il vento, un malessere fisico, la giornata no. Se scendo in pista, però, sono sicura di ciò che sto facendo».

Quali sono le principali difficoltà legate alla vita del velocista? Hai mai pensato “Chi me l’ha fatto fare”?

«È difficile che io possa pensare una cosa del genere, perché mi piace tanto quello che faccio, dedico anima e cuore. Ci sono momenti di difficoltà, come quest'anno, quando ho subito un infortunio a inizio stagione. È stata dura recuperare, ma proprio lì capisci tante cose: la tua stessa forza, apprezzi il valore della vittoria, delle persone che ti stanno a fianco».

L'atletica italiana viene da un momento d'oro. Quanto è importante l’attenzione mediatica per far crescere un sistema troppo spesso dimenticato in favore di altri sport?

«Tantissimo, finalmente non si parla solo di calcio. Sono felice per i colleghi del tennis, l’atletica vive un momento davvero felice grazie ai miei compagni che hanno vinto le Olimpiadi. Si parla tanto di pallavolo, grazie alle ragazze che hanno conquistato l’oro olimpico. È un sistema che sta cambiando e questo mi fa piacere».

Qual è stata, finora, la tua più grande gioia sportiva?

«Sicuramente la medaglia vinta a Buenos Aires alle Olimpiadi giovanili, un'esperienza fantastica. Ero piccolina, entravo nel mondo internazionale, per me è stata veramente una grande scoperta che mi ha permesso di realizzare il mio sogno: entrare in un gruppo sportivo, essere un’atleta professionista. Poi l'Europeo, un’altra grande emozione».

E la più grande delusione?

«Non penso che ci sia stata una grande delusione».

Nel 2021 la tua prima Olimpiade, poi il bis a Parigi quest’estate. Se chiudi gli occhi e pensi alla prima volta che sei entrata in una pista a cinque cerchi, che immagine ti torna in mente?

«Ci sono due immagini: la prima Olimpiade che ho fatto a Tokyo, purtroppo, era un po' triste perché, a causa dell’emergenza Covid, non c'era pubblico. La seconda è sicuramente molto più bella, un'esperienza fantastica: il calore del pubblico quando sono entrata in pista è impagabile. Chi non c’era non può capire, bisogna essere presenti per avere idea di cosa significhi un’atmosfera del genere».

Come hai vissuto i tuoi Giochi olimpici?

«L'unica cosa che mi dispiace è non essere stata al top in entrambi gli eventi. Ho sempre avuto un problema fisico. Nonostante abbia alle spalle due Olimpiadi ad appena 23 anni, sono stata un po' sfortunata. Tre anni fa mi ero quasi infortunata dopo aver vinto l’Europeo, ero arrivata con un po' di strascichi. Nel 2024 ho lottato tanto per esserci, perché mi sono infortunata a inizio giugno. Aspetto la prossima per dare il meglio di me».

Ci racconti la quotidianità nel villaggio olimpico?

«Immaginati di vivere in una palazzina con i rappresentanti azzurri di tutti gli sport, persone con cui parlare, raccontarsi le esperienze. Conoscere atleti di ogni angolo del mondo. Vedi nei maxischermi i tuoi compagni vincere, conquistare medaglie. Stai con tutti, frequenti la clubhouse dove assisti alle gare. La vita nel villaggio ti regala sensazioni uniche».

Nel mirino c’è Los Angeles 2028, che atleta sarai fra tre anni?

«Oddio, mancano solo tre anni? (ride) Sicuramente avrò tanta esperienza alle mie spalle, un bagaglio diverso. La prima Olimpiade è sempre magica, nella seconda cerchi conferme, la terza sarà quella della maturità».

Gli obiettivi per il 2025, invece, quali sono?

«Sicuramente riconfermare i miei tempi, stare bene, in salute. Poi abbiamo tanti grandi obiettivi: Mondiali, Coppa Europa, Mondiali di staffetta. Voglio esserci ed essere sempre protagonista».

Se potessi parlare con la Dalia bambina, che incoraggiamento le daresti?

«Gli direi questo: “Un giorno sarai fiera di te stessa, orgogliosa della donna e dell’atleta che sarai diventata. Prima di allora, però, continua a sognare e divertirti come hai sempre fatto”».