Raccontare i colori di una storia, le sue luci e le sue ombre, le sfumature, i contrasti. Scegliere il tempo giusto, la giusta prospettiva, focalizzare i dettagli ed escludere ciò che è di troppo. Stimolare un’intesa capace di illuminare uno sguardo e far sbocciare un sorriso.

Catturare con un obiettivo la poesia della fragilità e dell’ostinazione, della semplicità e dell’eccentricità. Immortalare la vita che scorre, i respiri di due innamorati, la malinconia di un musicista di strada, la serenità appagata di un anziano che porta a spasso il cane.

Massimiliano Diana è un fotografo 33enne di Cagliari. Nome d’arte Diem, ‭«che non è altro che la pronuncia inglese delle mie iniziali». «Io collego però questo pseudonimo anche al famoso carpe diem – spiega intervistato da Sardegna Live –, il “cogli l’attimo” di Orazio. Lo prendo come una motivazione a godere sempre della bellezza».

Diem racconta sui social i suoi incontri per strada con le figure più diverse, dialogando coi soggetti che “sceglie” e trasformandoli in un’esperienza da scoprire. Gli oltre 100mila follower della sua pagina Instagram (@diem_visuals) certificano il successo di un progetto artistico divenuto virale, capace fornire spunti di riflessione e persino commuovere.

Quando hai scoperto la fotografia e qual è il tuo percorso professionale?

«È successo due anni fa, avevo 31 anni. Prima ho lavorato come addetto all’inventario a Bologna e nei call center qui a Cagliari. Ho abbandonato gli studi verso i 18 anni perché non stavo bene mentalmente. Ho sofferto di depressione, che è diventata un tema sociale al quale presto molta attenzione anche nei miei contenuti. Metto una luce particolare quando mi capita di incontrare persone che mi parlano di queste tematiche».

Poi cos’è successo?

«Ho deciso di riprendere gli studi e, quando stavo per iniziare un nuovo percorso universitario in Informatica, ho scoperto casualmente la fotografia durante un viaggio a Bologna. È stato amore a prima vista e ho deciso di investire il mio tempo per approfondire questa passione. Adesso lavoro come fotografo da circa un anno nelle situazioni più diverse: dalle discoteche, ai matrimoni e cerimonie, eventi, teatri, concerti, qualche shooting privato».

Quello dei ritratti di strada è il format che ti sta dando maggiore visibilità.

«Sto ancora esplorando, la mia strada sui social è sicuramente quella dello street, però a livello professionale sto cercando di capire quale genere fotografico mi si addice di più. La mia formazione è totalmente da autodidatta e sostenuta dai consigli di un amico, ma adesso inizierò un percorso accademico biennale di fotografia per migliorare ulteriormente».

Come hai capito che la fotografia di strada ti avrebbe permesso di esprimerti in maniera così efficace?

«Non ho inventato niente. Navigando sui social vedevo molti video di fotografi come Dino Serrao o Emanuele Di Mare che andavano in giro alla ricerca di situazioni belle e momenti spontanei da documentare per immortalare la vita di tutti i giorni. Mi è piaciuto molto e ho deciso di provare. Sono sceso per strada, ho scattato delle foto e mi sono reso conto di vedere il mondo con uno sguardo che non avevo mai avuto. Prestare attenzione a un dettaglio in più, a una geometria diversa, a un'ombra e una luce che magari si incontrano in modo particolare, una persona che passa. Così mi sono appassionato».

Qual è la tua cifra personale?

«Ho cercato di integrare questo approccio con un mio modo di avvicinare le persone e interagire con loro per raccontare le loro storie mentre le ritraggo. Così ho creato una mia prospettiva, la mia personale interpretazione di questo prodotto artistico».

È sempre Cagliari lo scenario dei tuoi racconti?

«Le storie che ho pubblicato sul mio canale sono registrate quasi per intero a Cagliari. C’è giusto qualche scatto realizzato a Torino o in qualche paese dell’interno perché, fra le altre cose, ho in progetto di realizzare un ritratto per ogni centro della Sardegna, uno per ogni regione e nelle grandi città. Voglio viaggiare e spostarmi, ma amo troppo la mia sardità e tutto ciò che riguarda l’Isola, le sue tante identità. Cagliari rimane uno scenario molto bello per il mio lavoro e fornisce sempre materiale interessante, oltre che, essendo la mia città, mi piace raccontarla dal punto di vista di chi la vive».

Come capisci qual è il soggetto giusto per una tua storia?

«A intuito. Vado istintivamente, sul momento, carpe diem. Addirittura, se mentre mi avvicino mi vengono dei dubbi o mi rendo conto che una persona tende ad andare oltre, mi fermo. Non cerco forzature, voglio una cosa genuina che viene dal cuore perché solo se nasce dal puro istinto e dalle viscere è facile poi aprirsi a vicenda e incontrare persone che abbiano la generosità di raccontarsi».

Ti è mai capitato di non essere compreso?

«Sì, adesso lo ricordo col sorriso, ma sono momenti un po’ pesanti. Ricordo una signora che, dopo essere stata avvicinata da me, mi ha schivato e mentre si allontanava metteva in guardia chiunque incontrasse, indicandomi da lontano. Probabilmente non aveva nemmeno capito le mie intenzioni. In un’altra occasione, una donna è letteralmente impazzita, ha iniziato a urlare e ha chiamato i carabinieri senza darmi il tempo di spiegare nulla. Ho perso un’ora e mezza a chiarire l’accaduto con le forze dell’ordine che tra l’altro mi seguivano sui social. Una situazione paradossale».

Qual è la storia che ricordi con più piacere, quella che ti ha commosso o sorpreso di più?

«Difficile da dire, io mi affeziono a tutti. Non amo fare delle selezioni per non scontentare gli altri, ma ti posso dire quale ha colpito di più il pubblico. Sicuramente la storia di Iago, il senzatetto che sta a Cagliari. È stato uno dei miei primi video e in qualche modo anche il video che ha lanciato il format. Ma non voglio parlarne per quello che ha portato a me, bensì perché ha portato qualcosa di positivo a tutta la community. Dopo quel ritratto, molte persone hanno iniziato a guardare in modo diverso situazioni come la sua. Hanno iniziato ad avvicinare Iago, scambiare due chiacchiere con lui, gli hanno donato coperte e del cibo per i suoi cani. Mi piace sapere di aver migliorato un minimo la quotidianità di questo ragazzo. Molti dicono che la beneficenza si fa in silenzio. Io penso che, se mostrarla serve a dare l’esempio, ben venga».

Altri video che ti hanno segnato?

«È appena uscito il video di un uomo anziano che lavora come Babbo Natale. In maniera molto toccante, racconta quanto sia bello ma anche a volte tosto impersonare questa figura ed entrare in contatto con bambini che hanno difficoltà importanti, malattie. È stata una storia incredibile, un uomo molto emotivo, molto buono. Un altro video a cui tengo particolarmente è quello di Hajar, una ragazza marocchina che vive qua e lavora come interprete. Le ho chiesto se fosse felice e mi ha rigirato la domanda. Mi è rimasto molto impresso, c'è stato proprio un reciproco scambio di emozioni, una connessione diversa».

Cosa ti lascia, dal punto di vista emotivo, il tuo lavoro?

«Io sono una persona logorroica, non noiosa, intendiamoci, ma mi piace molto parlare e invece fatico a mantenere l'attenzione quando parlano gli altri. Portare avanti questo progetto, dunque, mi sta insegnando ad ascoltare gli altri, a stare in silenzio per poter percepire e immergermi in ciò che raccontano le persone che incontro. È una cosa che mi sta veramente migliorando come persona».

Se il Massimiliano persona incontrasse il Diem fotografo per strada, come reagirebbe e quale parte di sé gli svelerebbe?

«Non ho avuto una vita molto semplice, però tendo sempre a essere autoironico, tirar fuori il lato positivo delle cose. Quindi gli direi subito “va bene, facciamo le foto, ti racconto la mia storia”. Solitamente chiedo a chi incontro due cose: “Qual è il più grande rimpianto e il più grande sogno della tua vita?”. Se mi si ponessero queste domande risponderei che il mio più grande rimpianto è aver smesso di giocare a calcio. Ero bravo e vengo da una famiglia di giocatori che hanno militato tra serie C, B e A. Quando ho mollato lo studio, ho lasciato anche il calcio e non c'è stato giorno in cui non abbia pensato di voler giocare a pallone. Però non ho più avuto il coraggio di riprendere. Il sogno della mia vita, invece, è avere sempre sogni. Quando hai sogni e desideri sei vivo, puoi portare sempre qualcosa di emozionante nella tua esistenza. Forse, se avessi un solo sogno nella vita, non lo vorrei neanche raggiungere, perché è bello continuare a sperarci, a vivere per quello. È un discorso un po' strano, però mi piace così».