Il sale sulla pelle, quello vero. Non quello della battigia a Ferragosto, ma delle onde d’inverno, delle tempeste notturne che gonfiano i flutti e dominano i movimenti della barca. Il sole sul viso, la brezza che accarezza i sogni di un giovane uomo il quale, fin da ragazzo, immaginava di partire verso il largo alla conquista del mare di casa sua, affascinato dalla figura malinconica e poetica degli anziani pescatori conosciuti fin da bambino, armati di nasse, amore per la natura e dedizione al lavoro.

Elia Broccia, 33 anni, è un pescatore di Buggerru, una delle località più suggestive del Sulcis-Iglesiente. Una storia fatta di mare e miniere per un territorio spesso aspro ed avaro, ai confini della Sardegna, dove paesaggi industriali come quello di Montevecchio sposano immagini da cartolina come il profilo di Pan di Zucchero.

Dal 2014, Elia ha deciso di seguire la sua vocazione: vivere di mare e nel mare. Oggi racconta le sue giornate sui social nella pagina Instagram @eliadibuggerru, dove documenta le sue avventure con passione e in maniera genuina e sincera. Lo abbiamo intervistato.

Come ti sei accostato a questa professione?

‭«Io vengo da un paese di mare. Mio padre, operaio di professione, fin da ragazzino andava a pesca con i vecchi e così è nata in lui una passione che poi mi ha trasmesso. Ha sempre avuto una barca da diporto, a bordo della quale ho scoperto il mio amore per il mare e per la pesca dilettantistica‭».

Poi cosa è successo?

‭«Attorno ai vent’anni ho iniziato a capire che la pesca poteva diventare un lavoro, così ho insistito con mio padre affinché mi permettesse di acquistare una barca tutta mia. Dopo un po’ di resistenza, dovuta alla preoccupazione di sapermi continuamente in mare aperto, ha accettato di aiutarmi in questa impresa‭».

Come era la tua prima barca?

‭«Abbiamo messo insieme un po’ di risparmi e abbiamo individuato online una barchetta di sei metri a Viareggio. Siamo partiti verso la Toscana e la compravendita è andata a buon fine. Finalmente abbiamo portato la barca in Sardegna‭».

Così è iniziato il tuo sogno.

‭«Ho iniziato da zero. Non avendo mai avuto pescatori professionisti in famiglia, ho dovuto acquistare tutto: reti, palamiti, attrezzature varie. Ho seguito con entusiasmo e curiosità crescente gli anziani pescatori del paese, per acquisire esperienza e dimestichezza. Dopo quattro anni, ho preso una barca un po' più grande‭».

Barca più grande significa più pescato, ma anche rischi maggiori?

‭«Procedo sempre per gradi. La pesca è un mestiere duro e ricco di imprevisti. Il mare non garantisce nulla e serve sicurezza e competenza, se non ti senti sicuro, non puoi lavorare in mare aperto. Sotto i piedi non hai la terra ferma, devi esserne consapevole. Per questo è importante comprendere i propri limiti e i limiti della barca‭».

Come è nata l'idea di raccontare sui social le tue giornate?

‭«Con la seconda barca ho iniziato a pescare anche pesci più importanti. Mi sono reso conto che il mio lavoro suscitava curiosità: è una vita particolare che non si conosce a fondo. È un mestiere antichissimo e nobile, ma si tende a pensare al pescatore come il signore anziano col cappello e la canna da pesca. In realtà è una questione molto più complessa. Così mi sono lanciato sui social. Questo mi ha dato tanti spunti e idee e l’anno scorso ho acquistato la mia terza barca‭».

Qual è il valore del tuo racconto?

‭«Serve ad avvicinare le persone al mare, soprattutto i giovani. Inoltre, apre a tante possibilità. Anni fa sono stato contattato da una troupe della tv giapponese che girava un documentario in Sardegna. Affascinati dalla mia storia di giovane pescatore, hanno realizzato una puntata di 60 minuti dedicata a me e alla vita del mio borgo: mi seguivano a casa, mentre prendevo il caffè al bar. Una delle cose più assurde che mi siano mai capitate‭».

Come vivi l’interazione con gli utenti?

‭«In maniera molto positiva, mi confronto con la gente. L’anno scorso ho acquistato una barca più grande per mettermi in gioco e portare le persone a pescare con me. L’idea è di raccontare dal vivo le mie giornate e far capire quanto la vita in mare possa essere massacrante, ma al contempo un'esperienza straordinaria‭».

Qual è la tua giornata tipo?

‭«Non c'è una giornata tipo. Dipende dal periodo e dal tipo di pesca. D’estate lavoro tanto con i ristoranti della mia zona, tra Iglesias e Cagliari. In bassa stagione mi rivolgo principalmente a un ingrosso. Mi dedico soprattutto ad aragoste e pesce spada e, come in questo periodo, pesci bianchi (orate, saraghi, spigole). Solitamente butto la rete subito dopo pranzo, trascorro la sera in mare e rientro a casa per cena lasciando la rete in pesca. Dopo le 4 del mattino torno in mare, col gelo in faccia, per recuperare il pescato.

È una vita abbastanza dura.

‭«È la vita che mi piace. Non ho mai fatto questo lavoro per monetizzare e non ho mai visto il mare come una risorsa da spremere fino all’osso. Per me è prima di tutto una passione, una fonte di benessere. Se non l’avessi vissuta in quest’ottica, forse, non avrei mai raggiunto i risultati che ho ottenuto fino a oggi.

Mai trascorso intere nottate in mare?

‭«Certo, ad esempio quando devo pescare col palamito, una sorta di lenza lunga con tanti ammi attaccati, e magari sono alla ricerca di saraghi, paraghi, dentici, orate‭».

Perché è necessario pescarli di notte?

‭«Nel palamito ogni amo è innescato, ovvero ha un boccone di esca, che nel mio caso è calamaro. Se butti il palamito alle 5 del pomeriggio e poi lo recuperi l’indomani, i primi pesci che sentono l’esca sul fondo mangiano tutto e l’indomani mattina all’alba (che è l’orario migliore per pescare) ti ritroveresti l'amo pulito. Invece, se parti la sera, puoi calare il palamito durante la notte così all’alba lo recuperi carico di pesci‭».

La pesca all’aragosta come funziona?

‭«Si utilizza una rete a maglie grandi. È retta dal galleggiane e, adagiandosi sul fondo grazie ai piombi di cui è dotata, funge da muro. Si lascia in mare 3-4 giorni. In quel periodo vi si impigliano pesci di una certa taglia (1-2 kg circa) che fungono da esca per le aragoste. È un tipo di pesca molto dibattuto, perché alcuni dei pesci muoiono e vanno a male prima che la rete venga riportata a galla. Ma è l’unico metodo per l’aragosta‭».

È uno dei tanti punti che causano le critiche di animalisti e ambientalisti.

‭«Io sono quotidianamente oggetto di critiche e commenti molto duri. Non mi interessa discutere e creare polemiche, ma allo stesso tempo sono sicuro di quello che faccio e di lavorare sempre nel rispetto dell’ambiente‭».

C’è qualche polemica in particolare che ti ha interessato?

‭«Quella legata all’eviscerazione del pesce vivo. Sono stato massacrato, ma anche lì c’è un motivo ben preciso. All'interno di determinate specie vive un parassita, che si chiama “anisakis”. È un verme che vive dentro lo stomaco del pesce. Se prendi un pesce vivo e riesci a eviscerarlo subito, l’anisakis non fa in tempo a passare nelle carni. Quindi potresti consumare il pesce senza doverlo abbattere, favorendo una maggiore qualità del prodotto. Spesso arrivano commenti da gente che magari non ha mai visto neanche una seppia viva. C’è tanta disinformazione‭».

Hai mai vissuto particolari disavventure in mare?

‭‭«Ne capitano tante. Quella che ricordo maggiormente l’ho vissuta con un collega più esperto. Quel giorno c’era un po’ di mare, niente di eccezionale, ma era prevista tanta pioggia. Dopo aver calato i palamiti ha iniziato a diluviare fortissimo. Siamo rimasti in rada, in attesa di capire l’evoluzione del tempo. Quando ha finito di piovere, si è scatenato un vento di tramontana molto intenso. Cercavamo di puntare la prua verso l’orizzonte per prendere meglio il mare, eravamo fradici a causa delle onde che si abbattevano sulla barca. Abbiamo comunque continuato a pescare mentre si alternavano momento di buriana e di calma.

Non è andata poi così male.

‭«Aspetta. Non ci vedevamo quasi nemmeno fra noi, tanta era la pioggia. A un certo punto un lampo è caduto a cinquanta metri da noi, la massa d’aria gelida spostata dal fulmine ci ha investito in pieno, seguita dal boato di un tuono potentissimo. Siamo sbiancati, cisiamo guardati in faccia, abbiamo ritirato tutto, puntato la prua verso Buggerru e siamo partiti a dritta verso il porto a tutta velocità‭».

Cosa ti anima ad uscire in mare? Qual è l’emozione che si prova quando si sale in barca e si va verso il largo?

‭«Non ho mai capito se sia libertà o felicità. La sensazione è di pace con me stesso, come quando rimani molto al freddo e arriva il primo sole primaverile che ti scalda le ossa e ti provoca un brivido di piacere. Sei in mezzo al nulla, i gabbiani che ti volano a fianco e tu ti spingi oltre, verso l’orizzonte. Non sai cosa ti può capitare, il mare è un punto di domanda‭».

Cosa ti ha insegnato il mare?

‭«La lezione di vita più grande è questa: mettere continuamente in discussione le proprie certezze e non aspettarsi mai nulla di preciso. Il mare non è un’immensa tavola blu, come pensa qualcuno: è fatto di sudore, sacrifici, sberle che arrivano dall’acqua e dal vento. È la cosa più romantica che abbia mai vissuto‭».

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