Oltre mezzo milione di follower su YouTube e decine di milioni di views che hanno reso virali i suoi “dissing” in romanesco e i suoi neologismi da strada. Una voce fuori dal coro in giro per le piazze più calde d’Italia da Roma a Napoli, da Milano a Torino fino a varcare le Alpi in direzione Parigi. Non è la parabola di una nuova stella della trap, ma il percorso del gusto portato avanti da Alessandro Bologna, 46enne romano, ex pugile di professione, nome di battaglia Franchino “Er Criminale”.

Uno pseudonimo che fa rizzare i capelli ai furbetti della ristorazione e tremare le gambe ai «foodpornari» (così li definisce) appassionati di cheese pull e colate di pistacchio. La sua missione dichiarata è scovare le marchette gastronomiche che dilagano sul web, smascherarle e insegnare all’utente medio a riscoprire i sapori genuini del forno della porta accanto e della pasticceria di quartiere. Un’impresa encomiabile nel Paese celebre per il buon mangiare che però, fra i monumenti e i vicoli delle città d’arte, propone agli ignari turisti improbabili e controverse rivisitazioni come la pizza all’ananas e la carbonara con la panna.

È sbarcato su YouTube quattro anni fa portando sugli smartphone della sua prima community contenuti dedicati alla passione di una vita, la boxe. Una categoria che si è presto evoluta regalando agli avventurieri della buona tavola una preziosa mappa dei migliori e peggiori prodotti per decine di categorie dello street food: dal kebab alla schiacciata fiorentina, dal maritozzo romano al cuoppo napoletano.

Le sue recensioni spesso impietose e sopra le righe, un piglio ironico e guascone e una scala di voti sui generis – dal «non ci siamo proprio» al «9 meno meno pieno», rarissimi i 10 – hanno riscosso fiducia e simpatia di un pubblico sempre più vasto che oggi lo rende uno degli youtuber italiani più seguiti.

Lo abbiamo intervistato.

Stai acquisendo una competenza straordinaria sul mondo dello street food e non solo, ma tu hai lavorato fin da giovanissimo a contatto col settore del cibo. Ricostruisci la tua esperienza.

«Vengo da una famiglia dove si lavorava al mercato con gli alimenti, con un padre che conosceva il pesce e tanti anni spesi al banco, anche tra frutta e verdura. Ho sviluppato una conoscenza abbastanza spiccata su quei prodotti, ma non mi piace sbandierare le mie competenze».

Eppure contano molto per il tipo di lavoro che stai portando avanti.

«Si tratta semplicemente di stabilire se una cosa è fatta male o bene. Intendo stimolare un buon giudizio critico sul cibo. Chiunque abbia un buon palato e una buona memoria può capire se una cosa è fatta bene o male, anche senza entrare nei tecnicismi. Ci sono tantissimi chef, anche stellati, che sono autodidatti, così come molti sommelier che non capiscono niente di vino. Quindi questa cosa delle competenze e degli attestati, spesso, lascia il tempo che trova».

I tuoi contenuti sono dedicati prevalentemente a prodotti molto semplici e alla portata di tutti.

«Appunto, io parlo raramente di stellati. Mi concentro su una fascia molto raggiungibile: forni, pizze, tramezzini, panini. Cose che costano tra i 2 e i 15 euro. Qualsiasi persona, come appunto poi succede, può andare nel forno citato, spende i suoi euro e vede se ho detto una cosa vera oppure una cazzata. Ed è questa la formula vincente dei miei contenuti».

La cucina italiana è diventata un brand di eccellenza internazionale. Tu rappresenti i tratti decadenti dei suoi prodotti base, abbiamo vissuto di rendita troppo a lungo?

«Sì, ma viviamo di rendita un po' su tutto: dalla cultura alle produzioni artistiche. Ci riempiamo la bocca di ciò che è stato fatto e non facciamo più. Ormai è tutto massificato e non è vero che è un fenomeno comune a tutti gli altri paesi: alcuni stanno come noi, altri stanno meglio. Io passeggio a Parigi e vedo tanti negozi di artisti che hanno la possibilità di aprire bottega e vendere la propria arte facendo economia. Questo a Roma non c'è più. È un impoverimento che investe anche l’enogastronomia».

Le tue espressioni colorite e le reazioni scomposte hanno reso virale il tuo personaggio. Quanto c'è realmente di Franchino Er Criminale nell’Alessandro persona?

«Dal punto di vista relazionale non c'è nulla di Franchino in me. Sono tutt'altra persona: posato, calmo, cerco di ragionare sulle questioni. A livello caratteriale c'è una base sicuramente fumantina. Sono la classica persona che si indispettisce per due o tre cose, però quelle due o tre cose mi mandano ai matti».

Ad esempio?

«Non tollero la stupidità. La frase stupida, il commento stupido, il non riuscire a mettere insieme due concetti per cercare il senso più ampio delle cose. È una cosa che mi irrita il sistema nervoso».

Sei seguito da tantissimi giovani che sognano di raggiungere la popolarità lavorando sul web. Quali sono gli equilibri di quel mondo?

«Il web è spesso visto dai ragazzi come un orizzonte dove trovare il successo e realizzare i sogni. È vero in parte: tanti ci provano, ma pochi ci riescono. C'è un magma di persone che probabilmente non ha l'appeal, il format, la testa o i contenuti giusti. Io sono stato fortunato, penso di essere stato la persona giusta nel momento giusto. Non è tutto oro quello che luccica, è un lavoro che non fa sconti: servono perseveranza, buone idee e la consapevole di avere una posizione sempre e comunque precaria».

Questa è una consapevolezza difficile da mantenere quando si è sull’onda.

«Invece bisogna imparare a gestirla. Che longevità si può avere sul web? Due, tre, quattro, cinque anni? A volte molto meno. Bisogna distinguere la viralità dai contenuti. La prima rende popolare una frase o un gesto per qualche settimana o qualche mese, ma passa in fretta. La creatività ti dà un’altra solidità, ma sul web garantisce comunque un periodo fortemente determinato. Bisogna essere bravi, una volta tornati alla vita normale, a sfruttare le professionalità acquisite».

Da Giulia Crossbow a MochoHf, dal Masseo ad Attrix. Hai portato sul canale numerosi personaggi, spesso sconosciuti al grande pubblico. Qual è il valore umano di chi popola l’universo YouTube?

«Ho sempre cercato di portare argomenti e personaggi che mi piacevano a livello umano. Il web è un insieme variegato, simile agli altri mondi lavorativi: c'è tanta gente valida ma trovi anche lo stronzo e l'infame. Sicuramente la maggior parte delle persone che circolano sul web non sono affatto quelle che sembrano».

Qual è il tuo rapporto con la cucina sarda?

«Ho lavorato per un decennio nella nautica in Sardegna e ho avuto una relazione sentimentale con una ragazza del Nuorese. Conosco molto bene il centro nord dalla Barbagia ad Alghero, l’arcipelago della Maddalena, la Gallura. Il cibo sardo è strano. La vostra isola ha un mare bellissimo e una pesca fantastica, ma il piatto simbolo è il porcetto e la cucina di mare, in effetti, non mi ha soddisfatto».

Stai bocciando la cucina sarda?

«Assolutamente no. È un discorso di massima in base alle mie esperienze personali. Magari a Oristano o in Ogliastra si possono fare esperienze culinarie che mi mancano. Partecipando alle cene di paese ho mangiato brodi di pecora, zuppe, arrosti in quantità industriale. Ecco, se penso alla Sardegna non penso alla cucina di mare, ma alla carne di maiale o di cavallo. Sono schietto: se stilassi una classifica regionale prediligerei altre cucine, dove ho trovato una varietà di ricette più ampia».

Hai mai pensato di girare contenuti in Sardegna?

«Mi piacerebbe, ma non credo. Il mio è un lavoro che deve bilanciare le visualizzazioni che generano entrate economiche e le spese sostenute. L’esperienza maturata in altre regioni italiane, ad esempio la Sicilia, mi sono servite da lezione. Sono video meno visti e generano un ricavo minore che li rende poco convenienti. Il pubblico vuole sempre Roma, Napoli, Milano già meno. Se il sindaco di Cagliari o un’azienda importante dell’Isola mi pagasse per scovare le “chicche” della vostra regione sarebbe già un discorso diverso».

Per salutarci, seleziona il prodotto, fra quelli mangiati in questi anni, che ti ha regalato le sensazioni migliori.

«Mi metti un po’ in crisi. Forse un bel porcetto da latte che sia ben cotto a legna, dolce, femmina e non sappia di selvatico. Probabilmente questo».

Colpo di scena. Accompagnato da un bicchiere di cannonau?

Meglio un monica di Sardegna.