Ci sono storie che spezzano il fiato, sono una stretta allo stomaco, un salto nel vuoto. Certe forme di dolore e di violenza aprono un baratro nella coscienza comune, interpellano il più sincero senso di giustizia di ognuno, generano un’interpretazione etimologica del concetto di "compassione", soffrire insieme a chi soffre.

IL CASO CLAPS

Era il 12 settembre 1993 quando la 16enne Elisa Claps scomparve nel nulla a Potenza, inghiottita dai silenzi della “città verticale”. Per trent’anni il fantasma di Elisa ha aleggiato sul capoluogo lucano mentre i familiari si affannavano, spesso in solitaria, per scoprire la verità sulla sua sparizione.

Il 17 marzo 2010 – 17 anni dopo – il corpo di Elisa venne ritrovato, nascosto nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità, l’ultimo luogo nel quale era stata vista e dove, però, mai nessuno la aveva realmente cercata.

Ai funerali della ragazza, celebrati sul sagrato di un'altra chiesa della città, e non all'interno, su esplicita richiesta della madre Filomena, don Marcello Cozzi tuonò davanti alla folla: «Perdono, Signore, perdono. Caino, fratello nostro che hai barbaramente spezzato la vita di Elisa, togli la pietra dinanzi a quel sepolcro di menzogne nel quale ti sei condannato a vivere per sempre. Togliete la pietra voi, uomini e donne senza nome ma dai nomi innumerevoli che avete coperto e nascosto il fuggiasco Caino. Fatevi svegliare dal ruggito del rimorso».

Per l’omicidio di Elisa è stato condannato nel 2011 Danilo Restivo, 21enne all’epoca dei fatti, che fin da subito, ma invano, venne indiziato quale responsabile della sua scomparsa, essendo l’ultima persona che l’aveva incontrata dopo essersi invaghito di lei. Sottrattosi senza troppe difficoltà alla morsa delle indagini, il giovane si trasferì in Inghilterra, a Bournemouth, dove si rese protagonista di almeno un altro omicidio, quello della vicina di casa Heather Barnett, avvenuto nel 2002 e per il quale oggi sta scontando un'altra condanna a quarant’anni di carcere nel Regno Unito.

A proteggere Restivo e allontanarlo dalle proprie responsabilità, per quasi due decenni, l’omertà e la connivenza di diverse personalità della Potenza bene e l’atteggiamento ambiguo della sua stessa famiglia (il padre Maurizio era il direttore della Biblioteca nazionale potentina), della Curia locale e dello storico parroco della Trinità don Mimì Sabia, deceduto nel 2008. Nel 2023, la riapertura della chiesa, messa sotto sequestro per le indagini, ha riacceso gli animi suscitando polemiche e contestazioni alimentate dall'affissione di una targa commemorativa di don Sabia.

Negli ultimi mesi l’attenzione sul caso Claps si è riaccesa grazie a un podcast di successo, Dove nessuno guarda, curato da Pablo Trincia e alla fiction Per Elisa, trasmessa da Rai Uno e ora disponibile su Netflix.

L'INTERVISTA

Ho intervistato Gildo Claps, fratello di Elisa, che da oltre trent’anni combatte senza sosta assieme ai familiari, in particolare la madre Filomena, per ottenere una giustizia piena e fare luce sulla vicenda che ha sconvolto la sua vita. Nel 2002, la tenacia di Gildo ha portato alla nascita della onlus Penelope, associazione nazionale delle famiglie e degli amici delle persone scomparse.

Dove si trova la determinazione di andare avanti così a lungo fino a raggiungere un obiettivo così difficile? 

«Il motore principale che ci ha spinto a non rassegnarci è stato l'amore per Elisa, il dolore per la mancata verità e soprattutto l'assenza di giustizia. Sapevamo che l’epilogo sarebbe stato tragico anche se, come accade a tutti i familiari di persone scomparse, si spera sempre di ritrovare una persona viva». 

Dopo il ritrovamento del corpo cosa è cambiato?

«Pensavamo che a quel punto si arrivasse finalmente a una verità piena. Invece abbiamo dovuto affrontare altri anni complicati, segnati da grandi delusioni e amarezza. Finalmente siamo riusciti a portare a processo l’assassino di Elisa e di Heather e ottenere una doppia condanna in Inghilterra e in Italia. Ma tutto il contorno di questa vicenda è rimasto molto nebuloso per quanto riguarda le complicità nell'occultamento dei resti, il ritardo nel ritrovamento e le implicazioni pesantissime anche da parte della Chiesa».

La vostra storia genera in chi la ripercorre una sensazione di insicurezza rispetto all'eventualità di trovarsi in situazioni analoghe. Come è possibile che in Italia continuino a registrarsi vicende di malagiustizia così clamorose?

«È una percezione che ho riscontrato in molte persone. Elisa era una ragazza perbene, senza grilli per la testa, eppure è capitato a lei. Incontro spesso i giovani nelle scuole e sento che questa cosa mette tanta ansia ai genitori e ai ragazzi. In Italia, ogni giorno si consumano storie di ordinaria ingiustizia, pressapochismo, sciatteria investigativa.  Credo sia uno dei vulnus principali di questo Paese. Non voglio generalizzare, perché poi è sempre un fatto di uomini: bisogna avere la fortuna di trovare le persone giuste. Esistono tanti che indossano una divisa o una toga e fanno il proprio dovere fino in fondo. Quando si parla di casi irrisolti, però, la causa è spesso l’incapacità o la colpevole omissione legata a interessi altri».

Le responsabilità della Chiesa di cui parli, però, non sono mai state accertate in sede di giudizio.

«Una settimana fa ero al Festival del Cinema di Terni, dove la serie tv Per Elisa è stata premiata come miglior serie dell'anno. Alla fine dell'incontro c’è stato un dibattito e dal pubblico si è alzata una persona: era il vescovo di Terni, il sardo monsignor Soddu. Ho pensato che stesse per innescarsi l’ennesima polemica, invece mi ha raccontato di essere stato per 15 anni parroco della cattedrale di Sassari e di come ne conoscesse ogni angolo, sottolineando come niente potesse accadere all’interno di quell’edificio senza che lui lo venisse a sapere. Così ha posto questa domanda: "Quelle che hanno riguardato il caso di Elisa sono state semplici omissioni o c’è stata la volontà precisa di nascondere i suoi resti?". Il corpo di Elisa non può essere rimasto per 17 anni in quel sottotetto senza che nessuno sapesse. È un’evidenza investigativa, oltre che logica».

A don Mimì Sabia è stata di recente dedicata una targa dentro la Trinità.

«Una targa che celebra le virtù educative e pedagogiche del parroco che è stato il padre padrone di quella chiesa fino al 2008. La considero una vergogna. La figura di quel sacerdote è chiaramente macchiata da questa storia e si è portato il suo segreto nella tomba. Proprio dopo la sua morte, guarda caso, è iniziato il lento cammino verso il ritrovamento di Elisa».

Lo strappo fra la tua famiglia e la Chiesa è ricucibile?

«Mia madre è molto cattolica ed Elisa lo era altrettanto. Dai suoi diari emerge questo rapporto privilegiato con la dimensione religiosa, chiudeva ogni pagina del suo diario con un ringraziamento a Gesù. Il vescovo di Terni, dopo il suo intervento, mi ha aspettato fuori dal teatro e si è sfilato dal collo un'immagine della Madonna per donarmela, rivolgendomi delle parole bellissime in forma privata. Io non sono credente, però mi ha trasferito in qualche modo delle scuse, sebbene non toccasse a lui. Dalla Curia potentina non c'è mai stato un gesto di scuse, tutt'altro. In questi anni ci sono state forti tensioni fra due anime della città che hanno lasciato profonde ferite nella comunità cattolica in primis. Il nuovo vescovo sta dando segnali di distensione. Ho chiesto una sola cosa: che quella targa venga rimossa come simbolica richiesta di scuse soprattutto nei confronti di mia madre».

Il Comune ha già dato un segno importate intitolando a Elisa la piazza antistante la Trinità.

«È successo a maggio di quest'anno, la piazzetta si chiama Largo Elisa Claps. È stata una volontà precisa da parte dell'amministrazione e un gesto “riparatorio”, nel senso che anche la comunità si è sentita in qualche modo colpevole per i troppi silenzi di questi anni, quindi ha inteso in qualche modo segnare un punto di rottura rispetto al passato, ponendo l’accento su questo cambio di passo. L’inaugurazione è stata molto forte dal punto di vista emotivo, soprattutto per mia madre, e ne sono felice». 

Quando parli di tua madre ti si illumina la voce.

«È una forza della natura, oggi ha 87 anni ed è una donna straordinaria. Non è mai sola, stiamo ricevendo un'ondata di solidarietà straordinaria. L’altro giorno una signora partita da Milano è venuta a Potenza, ha portato dei fiori sulla tomba di Elisa e ha cercato la casa di mia madre per andarla a trovare. Ci sono tante ragazze con storie personali difficili che la vanno a trovare e lei gli dà conforto, si fanno compagnia. Io ho vissuto con mamma una simbiosi incredibile. Per me resta e resterà per sempre un riferimento assoluto, un faro che ha guidato tutta la mia vita».

Cosa cambia negli occhi e nel cuore di una madre che vive la violenza della scomparsa di una figlia? 

«Ho visto il suo cuore frantumarsi completamente. Solo la sua forza granitica, il suo desiderio di verità e giustizia e l’amore per gli altri due figli l'hanno tenuta in piedi e ci ha permesso di andare avanti. Papà, invece, si è letteralmente ripiegato su sé stesso, si è chiuso in una zona di dolore e non è più riuscito a reagire, l'ho visto spegnersi lentamente nella sua sofferenza. Ho conosciuto tante famiglie che dopo fatti di questo tipo sono andate in pezzi (separazioni, gli altri figli completamente abbandonati perché i genitori erano concentrati nella ricerca). La scomparsa di una persona vicina è come una sospensione di vita».

C’è stata una fase di questa vicenda dove hai letteralmente inseguito Restivo, raggiungendolo in Inghilterra e urlandogli tutto il tuo dolore. Se avessi la possibilità di porgli una domanda di persona, oggi, cosa gli chiederesti?

«Io a Restivo ho letteralmente dato la caccia. Ero mosso da rabbia, odio, risentimento per quello che aveva fatto a mia sorella e per l'inferno in cui ci aveva relegato. Oggi provo un sentimento completamente diverso, una grandissima pietà umana. È stato carnefice, ma anche vittima di sé stesso e della sua famiglia che non è riuscita ad aiutarlo nel momento in cui poteva essere fermato. Ed è stato vittima anche di chi sapeva cosa aveva fatto e ha finto di non sapere. Gli chiederei solo questo: “Hai capito fino in fondo che cosa hai fatto? Hai capito quanto dolore hai lasciato alle tue spalle?”. L'ultima volta che l'ho visto, durante il processo a Salerno, ho letto nel suo sguardo la mancanza assoluta di comprensione». 

Oggi porti la tua testimonianza fra i giovani nelle scuole. Pensi che le nuove generazioni abbiano una maggiore consapevolezza per quanto riguarda il rispetto e la violenza?

«Ne sono certo ed è quello che mi spinge a incontrare i ragazzi. Per noi è stato un sacrificio enorme trasferire la nostra vita privata sugli schermi e renderla pubblica, ma ha dato i suoi frutti perché il nostro fare memoria non vuole essere sterile, ma dà lo spunto per delle riflessioni utili a tanti. Ricevo inviti da tutte le scuole d'Italia, quando è possibile le raggiungo di persona, altre volte in video, come è avvenuto di recente con gli studenti di Macomer (che saluto affettuosamente). Credo tantissimo nei ragazzi perché percepisco il loro desiderio di avere esempi positivi. Mi piace dialogare con loro e il feedback che raccolgo è di una consapevolezza completamente differente rispetto alle generazioni precedenti. Sono assolutamente ottimista.

Elisa e Gildo Claps