Cosa pensava il piccolo Enrico su quel muretto insieme al padre Francesco? Come era sporco quel fiume che gli andava addosso, tutto nero! Come quando andava al mare a Pittulongu e muoveva i piedini così forte che la sabbia si sollevava nell’acqua come una nuvola di fumo. Ma era freddo quel fiume, come quando faceva il bagnetto, e la mamma a volte sbagliava dosando la temperatura prima di fare uscire l’acqua calda così che lui potesse tuffarsi tra le bolle di sapone. Cosa può pensare un bimbo di tre anni nel cuore di un ciclone? Sarebbe andato a scuola, Enrico, e avrebbe studiato tanto… Si sarebbe laureato presto e da grande avrebbe fatto l’architetto lavorando per migliorare quella città che, invece, se l’è mangiato. O forse, avrebbe lavorato all’Auchan dietro una cassa, o in un ufficio, ai tavolini di un bar o in un’agenzia di viaggi. Ma tanto che importa? Enrico non c’è più.

Cosa pensava mamma Patrizia quando ha sentito la sua auto galleggiare? Quando ha capito che il mondo stava fuggendo, portandole via la sua dolce principessa Morgana così bella e così piccolissima? L’avrebbe viziato tutta la vita quel gioiellino che era il frutto del suo amore con Enzo. Sarebbe diventata la più bella di Olbia, Morgana, avrebbero fatto shopping insieme e avrebbero chiacchierato per ore come fanno le mamme con le figlie femmine. Poi, un giorno, l’avrebbe vista sposarsi, col velo bianco e gli occhi felici come nei libri delle favole che le leggeva la sera. Invece no, Patrizia e Morgana sono andate via per sempre.

Sono andati via tutti. È andato via Isael insieme a Cleide, Laine e Weriston. Sono andati via Bruno, Maria Loriga e Sebastiana, Vannina, Luca, Maria Frigiolini, Anna e Maria Massa.

Il loro ultimo respiro succhiato dall’acqua, la loro vita spezzata dal vento che ha gelato il sangue di una terra che credevamo più forte. Non è la terra, dicono oggi, è l’uomo il problema. Ma l’uomo piange, e piange la terra. Piangono tutti e non lo danno a vedere, non c’è tempo. La grande pioggia di lunedì è andata a nascondersi oltre le spiagge o sotto terra, schiacciata dal senso di colpa per aver fatto tanto male.

Le schiene robuste, piegate, si risollevano all’alba di un nuovo giorno e gli stivali si sporcano per ripulire le strade. Perché è così che va: dopo lo schiaffo si rialza la testa. E si respira di nuovo.