Il cataclisma che ha colpito in queste ultime ore la Sardegna è sotto gli occhi di tutti. Giornali, TV e Web hanno ampiamente descritto e documentato i danni e le tristi conseguenze provocate dal ciclone che ha investito la nostra isola. Ed ora? Oggi splende il sole, ma rimane il conto da pagare. E sarà senz'altro molto salato. 

 

Letta dice di aver stanziato 20 milioni di euro, Capellaci 5, ma non è detto che bastino e non è pure detto che finiscano nelle tasche giuste. Passata la bolgia e l'entusiasmo per la solidarietà che oggi tutti dimostrano, spesso solo per opportunismo, i guai rimarranno in casa di chi ce li ha. A Capoterra, dopo 5 anni, qualcuno aspetta ancora di essere risarcito, qualcun altro ha ricevuto briciole rispetto ai danni subiti. Anche a Villagrande si sono rimboccati le maniche e di tasca propria hanno ricostruito case e ponti svolazzati via.

 

Eh va Beh, direbbe qualcuno: “si sa come vanno queste cose”. Non avrebbe tutti i torti vedendo il passato e immaginando il futuro. Catastrofi di questo tipo non sono nuove ne in Sardegna ne in Italia o nel mondo, ma purtroppo il risultato rimane sempre lo stesso: passato il dolore più acuto, sarà tutto come prima. Oggi si giudicano le istituzioni perché non hanno attivato subito i soccorsi, oppure perché non è intervenuta la “guardia nazionale” da chissà dove. Oppure ancora perché non sono stati avviati i “centri funzionali decentrati” che Gabrielli aveva propugnato. C'è chi invece sostiene di non essere stato avvisato per tempo. Insomma all'indomani del “dì di festa” tutti cercano un capro espiatorio, il responsabile.

 

Chi lo trova nei disboscamenti selvaggi, chi nelle costruzioni vicine ai corsi d'acqua o dighe svuotate al momento sbagliato. Anche Mons. Sanguinetti dice che è colpa dell'uomo. Forse dimentico che quando il suo “capo” decide, non c'è forza che lo può fermare. Per carità tutti fattori non trascurabili. Ma mi chiedo: cosa avrebbero dovuto fare la Cristina di Ovodda, il Paolo di Ussana o il più famoso sindaco di Olbia Giovannelli? Il presidente della Commissione Europea, che forse non sa neppure dove è la Sardegna, esprime solidarietà. Tajani ha promesso vicinanza al popolo sardo. Ma e i soldi? “Bando alle ciance e fuori i soldi”, direbbe quello.

 

Quei soldi che forse avrebbero permesso di pagare qualche operaio o un'impresa per poter pulire i canali o le dighe, rimboschire la terra, costruire o rinforzare i ponti e le strade, o permettere stipendi più dignitosi che eviterebbero di costruire sui corsi d'acqua. Ecco quelli, dove sono? 

 

Ah già, il patto di stabilità, quel diabolico meccanismo che vorrebbe non spendere nulla ma pretende comunque i servizi. Per tale sistema Cristina o Paolo dovrebbero comunque attivarsi, magari senza pagare imprese e operai, o pagarli chissà quando. Oppure aspettare la solidarietà gratuita dei volontari, eroi che se ne fregano di quella che definirei la “miseria di stato”. Patto di stabilità, spending review, termini che l'uomo di strada si chiede cosa siano ma che la banda bassotti, assoldata dalla Merkel D'asburgo, conosce invece  benissimo e adotta per evitare che l'odiata inflazione riprenda a galoppare.