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“Si’ laudato mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente po' skappare”
Così scriveva San Francesco nel suo Cantico delle Creature, considerando la morte non come episodio di sofferenza ma come amica dell’uomo che, nell’ultimo atto, permette di risorgere in Cristo (“e beati siano quelli che cammineranno in te ‘ché sorella morte non gli farà male”).
A prescindere da generazioni, tempi e credo personali, è un dato di fatto che -prima o poi- tutti dovremo affrontare quel momento. E cosa sarà delle nostre volontà? È sempre consigliabile affidarle ad un testamento.
Questa tipologia di documento ha origini antichissime, le prime forme si ritrovano presso i popoli della Mesopotamia del secondo millennio a.C. . Presso gli antichi greci ogni località aveva le proprie pratiche; il primo a codificare delle leggi per il lascito delle volontà fu Solone (“mise il patrimonio di ogni uomo a disposizione del possessore, permettendo di concederlo a chi volevano, stimando l'amicizia un legame più forte della parentela, e l'affetto che la necessità”). Le formule dei romani erano considerate le più moderne dell’epoca, passando da una redazione a voce in pubblico ad un documento scritto e regolamentato da un canone di leggi. Attraverso un’importantissima -a partire dall’imperatore Costantino- influenza del cristianesimo, si giungerà alla legislazione inglese (tra le prime in Europa).
Secondo l’ordinamento italiano, Il testamento è un atto revocabile con il quale qualsiasi persona, capace di intendere e volere, dispone delle proprie sostanze per il tempo il cui avrà cessato di vivere. Ne esistono tre forme: olografo, per atto di notaio e segreto.
Il testamento olografo è una scrittura privata, valido a tre condizioni: autografia (scritto esclusivamente a mano, non a macchina o al computer), datazione e sottoscrizione (nome e cognome, leggibili e per esteso). Pur essendo la forma più semplice ed economica, presenta alcuni svantaggi tra cui: possibilità di distruzione, di smarrimento, di errori o falsificazioni, possibilità di contestazioni su autenticità o interpretazioni.
Veniamo dunque al testamento per atto di notaio, redatto da quest’ultimo su indicazioni del testatore alla presenza di due testimoni. I vantaggi di questa forma sono: la rigorosa certezza della volontà del testatore, con garanzia di conformità all’ordinamento giuridico e forza probatoria tipica dell’atto pubblico, nessuna possibilità di smarrimento, sottrazione o distruzione, possibilità di utilizzo anche da parte di chi non può ricorrere al testamento olografo (analfabeti, stranieri o impossibilitati a scrivere).
Vi è poi una terza forma, poco diffusa e sconsigliata (per i costi e l’allungamento dei tempi) detta testamento segreto, scritto dal testatore o da un terzo e consegnato personalmente al notaio (che quindi non ne conosce il contenuto), il quale redige un semplice verbale di ricevimento e potrà procedere all’apertura solo alla morte del testatore.
Ricapitolando, il testamento può essere redatto, modificato o revocato in qualsiasi momento della vita -con pieno possesso delle facoltà di intendere e di volere- scrivendo a mano le proprie disposizioni su un foglio, con indicazione della data e sottoscrizione col proprio nome e cognome, senza nessun costo. Se si preferisce una maggiore sicurezza e conformità alle leggi vigenti, ci si può rivolgere ad un notaio, che lo redigerà alla presenza di due testimoni e lo custodirà fino alla nostra morte; i costi sono variabili in base alla complessità del testamento, delle disposizioni in esso contenute e dalla capienza del patrimonio, aggirandosi intorno ad una media di mille-duemila euro.
Vi è infine la possibilità di scrivere personalmente il testamento, inserirlo in una busta sigillata (possibilmente con cera lacca) e firmata, in modo da rilevare qualsiasi manomissione, ed affidarlo al notaio, che apporrà sul retro il proprio verbale di ricevimento. I costi del testamento segreto possono arrivare anche a quattromila euro e richiederanno tempi più lunghi (dovendo il notaio trascrivere personalmente le volontà).
C’è però un limite alla libertà di fare testamento: la tutela dei diritti di un erede legittimario (coniuge, discendenti -figli e nipoti- e ascendenti -genitori, nonni, e così via-). Ad essi, infatti, la legge riserva una quota di eredità, detta appunto legittima, calcolata con formule talora complicate (esempio più semplice: la quota legittima dell’eredità di un genitore per i figli ammonta a due terzi del patrimonio). Qualora un legittimario veda i propri diritti negati dal testamento, potrà agire in giudizio per renderlo inefficace.