Vivo dal 2013 a Tunisi. Studio l'arabo e contemporaneamente collaboro come fotografa con il Parti Tunisien, un partito politico riconosciuto (ha partecipato con una propria lista alle ultime lezioni) fondato da giovani che hanno partecipato alla Rivoluzione del 2011 e che lavorano contro la tortura e gli abusi in divisa. Vivendo qui, la percezione è diversa da ciò che si ha leggendo i media in Italia e in "Occidente" in generale. Perciò vorrei fare qui alcune mie riflessioni dopo i tragici eventi che hanno colpito il Museo del Bardo.

Partendo dal presupposto che ognuno di noi condanna il terrorismo, esso non deve però essere contrastato con ogni mezzo, violando addirittura quelli che sono i diritti fondamentali di ogni essere umano. La prevenzione deve venire ancor prima dell'offensiva e per prevenire è importante capire quali fattori hanno generato (e continueranno a generare) questi “mostri”, che poi altro non sono che dei ragazzi di 20 anni o poco più.

Prima di tutto mi piacerebbe chiarire alcuni punti: è decisamente discutibile affermare che i terroristi fossero stati addestrati in Libia, dato che alcune testimonianze raccontano di come uno di loro non riuscisse inizialmente a capire nemmeno come utilizzare l'arma. Come non è assolutamente certo che questo attentato sia riconducibile all'Isis, essendo stato rivendicato da una cellula terroristica indipendente che già da tempo organizza attentati a sud del paese.

Se nel pensiero comune il terrore prende il sopravvento sul nostro lato umano, io voglio invece comprendere perché dei miei coetanei abbiano deciso di impugnare le armi e compiere una strage.

I ragazzi tunisini che vengono reclutati nelle organizzazioni terroristiche provengono generalmente da quartieri o città problematiche. La vita è molto difficile, a causa dei disagi sociali e i numerosi soprusi da parte della polizia. Vivere nella rabbia e nella paura li porta ad essere dunque facilmente manipolabili e a prestare ascolto alle false interpretazioni del Corano.

Un altro grave errore è considerare qualsiasi individuo con ideali islamici un potenziale criminale. Quello del terrorista barbuto e vestito con abiti tradizionali è un cliché che purtroppo ha trasformato la visione del mondo verso questa corrente di pensiero. Eppure io ho a che fare ogni giorno con salafiti: dal cuoco del piccolo ristorante nella medina che mi chiama “benti” (figlia mia), fino all'autista del taxi che mi chiede il significato dei miei tatuaggi o il fruttivendolo dietro casa, ho sempre trovato fossero persone di estrema gentilezza ed educazione.

Ho partecipato inoltre a varie manifestazioni insieme ai giovani dei movimenti islamici, ritenuti elementi “pericolosi”, e ne ho sempre ammirato la forza d'animo e perseveranza nell'affermare i loro diritti, la voglia di poter scendere finalmente in piazza a far sentire la loro voce. Quella piazza se la sono guadagnata loro, i figli della rivoluzione.

Eppure c'è ancora tanto pregiudizio e in troppi, forse, vengono criminalizzati senza prove tangibili. La tortura è una pratica sempre diffusa nel Paese e questo comporterà solo l'aumento delle violenze.

Questo Paese, con tutte le sue contraddizioni, è un grande esempio di coesistenza pacifica tra persone di cultura e credi differenti e non è un caso isolato: la convivenza pacifica è da sempre comune tra i popoli del Mediterraneo, ma questo equilibrio si è spezzato quando hanno iniziato ad esserci troppo interessi a destabilizzare i paesi del mondo arabo.

 

Jana Favata