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Se ci sono delle “Consegne” – disposizioni in tema di sicurezza che tra le altre cose prevedono l’accertamento dell’identità della persona prima di concedere l’ingresso - ma non sono rispettate, è chiaro che può succedere quanto tragicamente è accaduto due giorni fa presso il Tribunale di Milano. Sembra essere questa, infatti, al momento, l’ipotesi più accreditata riguardo alla dinamica del facile accesso dell’assassino nelle aule di giustizia dove ha seminato morte e terrore.
Se così è stato, è chiaro che una cosa è parlare di un sistema di sicurezza tecnicamente carente in qualche parte, altro discorso è la violazione, ascrivibile a responsabilità individuale, di un ordine scritto che dispone il riconoscimento della persona che intende entrare in Tribunale dall’ingresso riservato a giudici e avvocati.
Con queste premesse, è altrettanto chiaro che polveroni, dietrologie, strumentalizzazioni o discorsi ideologici, almeno in questo momento, con le indagini ancora in corso, sono fuori luogo. È anche ovvio, però, che certe reazioni a caldo, data la gravità dei fatti, siano comprensibili.
Se poi sarà rilevata - oltre a una precisa responsabilità individuale legata, diciamo, a un errore umano - anche la carenza, nel suo complesso, di un sistema di sicurezza che da anni veniva denunciato come inadeguato (v. le dichiarazioni dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, ma non solo), allora si sarebbe dovuto correre ai ripari senza aspettare che fosse una tragedia a richiederne l’urgenza. Se si arrivasse a tale verità, l’orizzonte delle responsabilità potrebbe allargarsi e, così come succede nel nostro Paese, non sarebbe neanche facilmente e volutamente definibile. Perché da noi funziona così: tutti responsabili, nessuno responsabile.
Nel caso del tragico epilogo che è conseguito all’ingresso in Tribunale di un uomo armato e assetato di vendetta, il killer è entrato dalla parte riservata a giudici e avvocati esibendo, così come pare sia stato accertato, un falso tesserino. Non avrebbero funzionato, sostanzialmente, le previste procedure di riconoscimento, dal momento che Claudio Giardiello, l’imprenditore fallito, si è rivelato essere un estraneo, per di più armato. Se bloccato all’ingresso, le cose sarebbero andate diversamente.
Purtroppo, in questo caso, si è dinnanzi al gravissimo reato di “violata consegna”, così definito dal codice penale militare di pace. Poco rileva, in concreto, il fatto che l’addetto al controllo non sia un carabiniere ma una guardia privata. Il diverso status di due operatori non può di certo cambiare le regole.
“Chi ha sbagliato pagherà”, ha dichiarato il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. È una frase non generica, che allude a responsabilità individuali, così com’è apparso sin dalle prime battute delle indagini.
Le stesse indagini ci diranno in seguito perché si è verificato un caso di “violata consegna” così clamoroso e tragico per le conseguenze. I risultati del lavoro investigativo non serviranno ad attenuare il dolore dei famigliari di chi ha perso la vita, però sarà di aiuto per capire il motivo per cui due giorni fa a Milano l’efficienza dell’uomo abbia avuto la peggio rispetto a quella tecnologica dei metal detectors che, installati negli ingressi del palazzo di giustizia riservati al pubblico, non avrebbero permesso al killer di introdursi con un’arma al seguito.
C’è anche un interrogativo che può sembrare una nota stonata in questo momento, però è anche inevitabile chiedersi se davvero non ci sia mai stato sentore di un servizio di guardia condotto non sempre in modo non esemplare. Oppure se la defaillance di tre giorni fa al palazzo di giustizia di Milano sia stata un caso isolato capitato per tragica