Marco Conti è un giovane trentenne cagliaritano con la passione per la scrittura. Spinto fin da piccolo da un’altra passione, quella per il calcio, attualmente milita tra le fila dell’Ovodda nel ruolo di portiere. Di professione è assistente sociale. Lavora nella casa famiglia di Esterzili e in due centri riabilitativi di Quartu e Assemini.

Nonostante la sua giovane età, ad oggi ha già pubblicato tre libri: “Dalle ceneri della Fenice” è una vicenda di speranza e di rinascita che affronta il tema dell’adolescenza di un minore che vive in una casa famiglia; “Tempi sospesi” è un racconto dai toni più fluidi, una storia semplice che porta il protagonista alla ricerca di sé stesso dopo un amore finito; l’ultimo suo lavoro è , invece, “Sul  confine”, una raccolta di dieci racconti drammatici, crudi e intensi, nei quali vengono affrontate diverse tematiche.

Ed è proprio su questo suo ultimo coraggioso libro che vorrei porre l’accento, su questo che trovo essere il suo miglior parto, nel quale è evidente una sperimentazione e ricerca sul campo prima e durante l’elaborazione. L’autore “gioca” con il lettore e lo spinge a interrogarsi sulla presenza di elementi autobiografici sparsi nel corso delle narrazioni. L’autore utilizza un registro stilistico-linguistico colloquiale, crudo e diretto, usa espressioni che, ad una lettura distratta, possono apparire volgari, ma che fanno parte della nostra quotidianità e vengono comunque utilizzate con grande naturalezza.

C’è un richiamo ad immagini, a situazioni che sembrano essere lontane da noi e dal nostro vissuto, ma che, se ci guardiamo intorno con meno indifferenza, ritroviamo davanti ai nostri occhi. Attraverso una lettura antropologica, emerge che questo libro non si limita a raccontare dieci storie, bensì vuole essere un invito a riflettere su quelle persone che vivono quotidianamente al margine, al confine della sfera umana, dove nella medesima società emergono le diversità, dove ogni forma d’identità si distingue dalle altre.

Siamo quindi davanti alla distinzione da una parte e all’identificazione e all’appartenenza dall’altra, aspetti che possono apparire opposti e contraddittori, ma che di fatto sono complementari di quel continuo processo di confini che sembra voler accompagnare l’intera storia umana. Per cui, che si tratti di definire un’appartenenza all’umano piuttosto che a un Sé Collettivo, tali definizioni sono sempre il risultato della messa in atto di comportamenti, idee e principi che si risolvono nell’assegnare agli individui determinate categorie, quindi nell’instaurazione di confini e al tempo stesso di appartenenza. 

L’autore riesce con grande dimestichezza a far emergere questi aspetti in ogni singolo protagonista, ponendo l’accento sia sulle problematiche che si trova a dover affrontare, sia sullo stato di perenne solitudine che lo accompagna. Lo stesso impiego metaforico del termine “confine” sembra voler evocare già nel titolo determinate caratteristiche dei diversi protagonisti, che gradualmente vengono svelate nell’evolversi di ogni singolo racconto.

Provocatoriamente, però, l’autore vuole spingere il lettore ad osservare l’altro senza pregiudizi e spogliandosi dei propri preconcetti, ad attraversare, quindi, quel confine, che simbolicamente potrebbe essere una porta che si ha paura di aprire e quindi di superare, per scoprire quel qualcosa che nessuno vuole mai vedere, che viene ignorato come se non esistesse.

Siamo davanti ad un libro per cui vale la pena spendere qualche ora per farne una lettura critica e attenta, per meditare sui temi affrontanti, per riflettere su situazioni che ci sembrano irrealistiche ma che invece sono vive, ben presenti nella nostra società; racconti che potrebbero lasciare un grande senso di vuoto e angoscia, perché ci spingono a guardare con occhi meno indifferenti oltre il confine.