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Ne abbiamo a disposizione, se siamo fortunati, quattro. Due non li ho mai conosciuti, perché uno non c’era più quando sono stato concepito e l’altra se n’è andata quando ero nella pancia di sua figlia.
Me ne sono rimasti due: una che era affetta da arteriosclerosi, malattia che ora avrebbe un nome più altisonante, magari tedescofono, e non sono riuscito a comunicare con lei più di tanto, e Francesco, nonno materno. Gallurese, alto, magro e con una voce potentissima, anche quando mi chiamava per cena o per dirmi una cosa banale. Mi diceva di aver tagliato tutto il granito che c’era, a Sassari e Tempio, nelle strade e nei tribunali.
Aveva mani molto forti e piene di pezzettini di pietre. Tagliapietre, poi la guerra, poi carabiniere, poi l’altra guerra e poi se stesso con la sua campagna. Si è anche risposato (era vedovo) con una donna che io, assetato di nonne, ho chiamato nonna e lei l’ha fatta come si deve.
La figura del nonno, colui che si pone due rami più in alto di noi, è una figura che per certi versi è molto più divertente e forse anche più affettuosa di quella del genitore. “Lu minnannu” ha meno responsabilità, fa più regali, è più imprevedibile e, soprattutto, è rilassato e ha meno fretta e meno impegni.
Certo, i nonni di una volta non si iscrivevano a tango o a bachata, erano meno “separati” dei nonni di adesso, ma resta il fatto che tuttora questa figura regge bene e la cosa bella e misteriosa è che si regge solo sul piacere di vedere il proprio piccolo clone-nipote che cresce, gioca e gode la vita. La funzione di questo parente è ancora oggetto di studio da parte delle grandi università americane, ma nel frattempo noi in Italia e soprattutto al sud e in Sardegna continuiamo ad usufruirne in modo spropositato senza metterci problemi scientifici.
Quando le mamme e i padri lavorano i bambini vanno a scuola, ma molto spesso vediamo dei signori di una certa età che accompagnano o vanno a prendere gli scolari. Oppure li tengono nel pomeriggio per fare i compiti o per accompagnarli alle varie attività. Ci sono tantissime occasioni che prevedono l’intervento dei nonni come delle gratuite e super fidate baby sitter. Spesso dormire nella casa dei genitori dei propri genitori rappresenta per i bambini un’alternativa molto eccitante. Ma anche da adolescenti la possibilità di andare da loro rappresenta una via di fuga da qualche problema o un’isola felice dove andare a riprendersi un po’.
Se l’amore è una misteriosa e irrisolta questione, che riguarda gli esseri umani e non si sa ancora se poggia su basi chimiche, o se è una dote o virtù divina che ci è stata concessa, nel frattempo si può constatare che indubbiamente avere dei figli aiuta a capire che ci sono diversi tipi di amore e quello forse più alto è proprio quello che un genitore nutre nei confronti del proprio figlio, se non altro per il fatto oggettivo che da genitori si è disposti a dare anche la propria vita per loro. Cosa che difficilmente si farebbe per qualcun altro.
Detto questo, il rapporto genitori-figli, per quanto ricco di amore, presenta qualche falla qua e là. Dove? Per esempio le aspettative, il desiderio di essere rispettati, la proiezione di se stessi che si trasforma in un desiderio o in una richiesta di successo nel lavoro e nella società. Insomma, c’è una forma meccanica di amore mercanteggiato anche se in pura buona fede. Questo si può trasformare a volte in una sorta di obbligo da parte dei figli di vivere per accontentare i genitori che si sono sacrificati per loro, oppure di emularli e addirittura per superarli nella loro professione. Esempi lampanti sono i figli di avvocati o di medici, ma ancora più impegnativi quelli di grandi sportivi o artisti.
I geni ricevuti e l’influenza dell’educazione impartita giocano