ZONA FRANCA, SARDEGNA IN FERMENTO
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La Sardegna vuole la zona franca. E’ ciò che hanno già detto più di 250 comuni (su 377) con formali delibere dei rispettivi consigli comunali. L’opinione pubblica, forse “distratta” dai temi di una difficile quotidianità che sta vivendo sulla propria pelle, non ha avuto finora una percezione compiuta delle problematiche che un movimento promotore molto determinato (da qualche tempo ci sono anche i sindaci) sta portando avanti  perché la nostra Isola  sia zona franca.  L’opera di sensibilizzazione dei volontari, corroborata dalla presenza istituzionale non solo dei Comuni ma ora anche della
Giunta Regionale, si può dire che abbia creato definitivamente un varco, e quindi un consapevole consenso, nel via vai quotidiano dei cittadini e  nello scetticismo di chi tra loro era comunque al corrente ma non proprio convinto dell’iniziativa. Diciamo che il timbro “governativo” della Sardegna sembra aver dato, ormai agli occhi dei più, spessore e  credibilità a un’istanza nata forse in sordina, ma ora pronta a deflagrare.  Movimento, sindaci e Giunta Regionale sostengono, dunque, che la Sardegna ha diritto, in base a delle norme di legge e trattati internazionali in vigore, ad essere zona franca.
Per la quale si intenderebbe un’area extradoganale, racchiusa nel perimetro dell’Isola e comprensiva anche delle isole minori, destinataria di agevolazioni fiscali per effetto di una situazione geografica e socio-economica di riconosciuto disagio. In concreto, se in tutto il territorio isolano  si applicassero le norme presenti dove già esiste la zona franca, come ad esempio a Livigno e Campione d’Italia, non si pagherebbero più accise (nel caso della benzina), IVA e imposte doganali. Le conseguenze sarebbero quelle immaginabili nel settore della produttività e quindi dell’economia e dell’occupazione.
Certo, a  questo punto, se davvero non si è in presenza di una grande e clamorosa bufala (noi sardi non siamo abituati ad avere regali o ad vederci riconosciuti di