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E' sufficiente scorrere le pagine del libro “Il sangue dei vinti”, scritto da Giampaolo Pansa, per rendersi conto che non tutti i partigiani furono eroi senza macchia. Una lunga lista di morti ammazzati, donne violentate, rapate e fatte sfilare nude per le strade da quei partigiani accecati dall'odio impregnato di sentimenti di vendetta, ma anche da facinorosi alla ricerca del pretesto per menare le mani.
A volte sostenuti da folle vocianti e incitanti alla violenza, altre nel buio di un vicolo o dentro le mura domestiche della vittima designata, questi criminali agivano con fredda determinazione col pretesto di eliminare chi aveva anche solo simpatizzato per il fascismo. Molti furono gli innocenti e gli estranei a finire in questo tritacarne diabolico dei processi sommari e dei regolamenti di conti, i quali permettevano di sistemare, impuniti, screzi personali del passato.
Spesso si trattava di personaggi saltati sul carretto dei vincitori solo nei giorni della liberazione, magari dopo aver vestito con convinzione la divisa nera solo fino a qualche tempo prima.
Giampaolo Pansa è all'apparenza un tranquillo signore di provincia che più che a scrivere pensa alle belle signore prosperose, ma nel concreto uno che non si è lasciato spaventare dall'onda dei pennivendoli venduti alla propaganda dei vincitori. Appartenuto ad una famiglia che il fascismo non lo ha sostenuto, ha sempre cercato la verità, quella che fa male a destra come a sinistra. Una visione imparziale che non può dunque essere tacciata con la facile etichetta dispregiativa di “fascista”.
Un tipo tosto, che non si è lasciato intimidire ne dalle minacce dei fanatici attrezzati di paraocchi, ne dalle violente intimidazioni degli ex partigiani e dei pennivendoli che costituiscono un'arma potente del comunismo post liberazione.
Questo tranquillo signore, con alle spalle decine di lavori pubblicati sull'argomento, ci ha rivelato dell'idea di una rivoluzione rossa per la conquista del potere in Italia. Guidati dal “Migliore” (cosi i compagni chiamavano Togliatti) i comunisti italiani rispondevano alla Russia di uno dei peggiori sanguinari della storia: Stalin. Cosi, dopo averne appreso i metodi brutali e subdoli, anche dentro i nostri confini si voleva eliminare chiunque si opponesse all'idea di un Italia satellite dell'Unione Sovietica.
Furono le donne ad evitarlo. Loro e la chiesa, colpita duramente dall'anticlericalismo militante del partitone rosso. Nelle memorabili elezioni del 1948, fu proprio grazie alla voglia di innovazione e libertà delle donne ed alla lungimiranza della chiesa, che arrivò la disfatta del fronte popolare legato allo spregevole baffone, con la conseguente vittoria della Democrazia Cristiana, espressione di libertà.
Il Giampaolo nazionale ci ha fatto entrare nelle case degli italiani di quegli anni cosi difficili: un Italia spaccata a metà. All'interno delle stesse famiglie, capitava spesso ci fossero insieme partigiani e repubblichini fedeli a Salò. Fratelli che combattevano su fronti opposti di giorno e dormivano insieme la notte. Inoltre Giampa ha fatto parlare quella parte d'Italia che non era entusiasta dei coraggiosi partigiani, cosi come la storiografia dei soliti pennivendoli vorrebbe farci credere. Quella parte formata da gente impegnata a lavorare la terra, che vedeva la resistenza una fastidiosa sanguisuga.
Quei baldi giovani combattenti, idealisti ma disorganizzati, che per sostenersi durante la macchia piombavano nei piccoli villaggi arraffando ciò di cui avevano bisogno per potersi poi sfamare una volta risaliti in montagna.
Il Pansa ci ha poi spiegato che non tutte le camice nere erano manganellatori o dispensatori di olio di ricino, ma spesso solo disciplinati combattenti che avevano inculcati l'onore e l'amor di patria. Giovani altrettanto coraggiosi dei loro coetanei alla macchia, morti nell'oblio più totale delle odierne commemorazioni ufficiali, ma convinti di far bene nel battersi per difendere la loro madre patria che in quel momento subiva pe