È addestrato Salvatore. Per lui passare il Natale lontano dalla sua famiglia non è un'esperienza nuova, ma questa volta è diverso. Stavolta più che il dovere di patria, è piuttosto “l'inerzia di patria” a costringerlo alla lontananza dai suoi cari. Una motivazione, quest'ultima, che lascia con l'amaro in bocca non solo il diretto interessato e chi più a lui vicino, ma anche tutte quelle persone che condividono lo stesso tipo di impegno professionale.

Come si sentiranno, moralmente parlando, costoro? Probabilmente delusi, demotivati e poco inclini al prossimo futuro sacrificio. La loro patria ha dimostrato di essere inetta, inerte e poco interessata nel concreto ad una vicenda che avrà invece risvolti importanti negli animi di tutti i nostri soldati. Coloro che condividono con Salvatore il sacrificio di una missione all'estero, ma anche quelli che nel prossimo futuro la condivideranno.

La Francia di Mitterrand nel 1985 incorse in una procedura di responsabilità internazionale a seguito dell'affondamento della  Rainbow Warrior. Una nave di Greenpeace, che fu colata a picco da due 007 francesi allo scopo di interrompere le proteste in Nuova Zelanda della nota organizzazione per la pace. La quale tormentava il governo francese al fine di costringerlo a cessare gli esperimenti nucleari al largo di Auckland. Ci scappò il morto. Un povero fotografo che anziché assistere dal porto all'esplosione, tentò di recuperare le sue macchine da presa a bordo della nave.

L'Eliseo non stette a cincischiare, chiese subito l'intermediazione internazionale dell'ONU, bloccando così la condanna proclamata dal tribunale neo zelandese. La Corte di Giustizia Internazionale condannò altresì gli agenti francesi a 10 anni di confino, ma sotto la tutela del governo dei cugini d'oltralpe. Risultato finale: dopo 3 anni i due erano di nuovo a casa, liberi. Quale pegno fu pagato un risarcimento di circa 7 milioni di dollari dai francesi attentatori di navi altrui.

Ora, lungi da me dal giustificare un tale gesto tutt'altro che eroico dei figli della nobile “France” , ma suscita sicuramente ammirazione il modo in cui quel paese difese i suoi agenti. Questi non furono abbandonati a se stessi o riempiti di belle parole con promesse effimere di protezione, ma concretamente difesi dal proprio governo. Giusto o sbagliato il gesto compiuto, la patria francese ha difeso i suoi figli cosi come una mamma fa per il suo bimbo più discolo, salvo poi punirlo al rientro a casa, sempre se lo merita.

Di casi internazionali come quello che ha coinvolto la Francia ve ne sono stati parecchi che hanno fatto scuola. La cosiddetta strage del Cermis, oppure ancora più emblematica, l'attacco degli studenti iraniani all'ambasciata americana nel 1979, dove i “marines” cercarono di recuperare i loro connazionali con gli elicotteri, pur consci di violare a loro volta le regole internazionali. Per un figlio si fa di tutto. Per salvarlo, alla bisogna, si violano persino le regole. Solo in tal modo sarà sicuro di agire con la protezione necessaria al rischio che corre.

Che determinazione possono avere i nostri soldati oggi, quando rischiano la vita in territori ostili? Poca, pochissima, per non dire nulla. Lo scalatore che sa di non avere cinghie di sicurezza non rischierà mai la sua vita inerpicandosi in percorsi audaci. Se non è un pazzo fulminato opterà per i percorsi facili facili, non certo da record.

Cosi il militare impegnato in una missione di pace, ci penserà trenta volte prima di fermare il talebano assassino che tenterà sicuramente di sparargli addosso. In quel caso penserà al detto sardo, il quale indica che “lo si dovrà pagare come fosse buono”. Rischiando anche in quel caso che il nostro paese lo abbandoni alla sua sorte.

Auguri Salvatore, buon Natale da Sardegna Live.