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Roma, 22 mar. (Adnkronos Salute) - Anche se l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) potrebbe a breve dichiarare la fine della pandemia, il virus Sars-CoV-2 continua a contagiare e a causare forme gravi di infezione specialmente nei soggetti fragili. Per questo è necessario non buttare via le armi anti-Covid che sono ancora efficaci, come gli anticorpi monoclonali. Lo hanno ribadito gli esperti, riuniti a Roma in occasione dell’evento "mAbs nell’Early Treatment. Controversie e consensi nel paziente fragile con Covid-19: non creiamo anticorpi”, promosso da GlaxoSmithKline. Secondo l’ultimo bollettino diffuso dal ministero della Salute sono 212 i decessi causati ancora dal Covid in una settimana, circa 30 al giorno. C’è quindi un bisogno non soddisfatto. "Il trattamento precoce con anticorpi monoclonali e antivirali rappresenta a tutt’oggi la strategia più efficace insieme alla vaccinazione per prevenire l’ospedalizzazione, le complicanze e il decesso per Covid", dice Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società Italiana di Malattie Infettive e tropicali (Simit).
"Diverse condizioni sia anagrafiche che cliniche sono state correlate con il rischio di progressione della malattia. Nella pratica clinica - aggiunge Andreoni - è comunque spesso complicato riuscire a classificare in maniera precisa la vulnerabilità e il grado di rischio dei singoli pazienti”. Nel momento iniziale della pandemia sono stati infatti identificati come fattori di rischio: l’età avanzata, il sesso biologico maschile e l’obesità. Oltre a questi fattori, caratterizzanti le prime fasi pandemiche, sono state definite altre condizioni legate al carico delle comorbosità, che hanno consentito di identificare tipologie di pazienti a maggior rischio di sviluppare malattia grave. Le patologie che colpiscono il sistema immunitario in modo diretto, come nel caso di infezione Hiv, e l’impiego della chemioterapia o di trattamenti immunosoppressivi, possono determinare di per sé un incremento del rischio di ospedalizzazione e malattia grave da Covid-19 e di prognosi infausta. Ecco perché la comunità scientifica per questi pazienti a elevato rischio di progressione verso forme gravi di Covid raccomanda una terapia precoce dell’infezione mediante anticorpi monoclonali.
Nei pazienti fragili, il vantaggio dell’anticorpo monoclonale rispetto ai farmaci antivirali è quello di bloccare l’ingresso del virus prima dell’entrata nella cellula dell’ospite, e di indurre potenzialmente l’attività citotossica anticorpo-dipendente nel caso le cellule vengano infettate. Gli ulteriori vantaggi della terapia con anticorpi monoclonali, secondo gli esperti, riguardano la possibilità di essere utilizzati anche in soggetti con politerapia in quanto le interazioni farmacologiche sono pressoché assenti. Tra gli anticorpi monoclonali disponibili in Italia contro il Covid, e che ha mantenuto la sua efficacia anche contro la variante Omicron ora dominante, c’è il sotrovimab.
Proprio recentemente, il National Institute for Health and Care Excellence (Nice) del Regno Unito è intervenuto raccomandandone l’utilizzo per i pazienti con più alto rischio di sviluppare una malattia grave e per i quali siano controindicate altre opzioni terapeutiche. Un’infezione da Covid, quando non asintomatica, può dare luogo a malattia lieve, moderata o severa. I pazienti eleggibili al trattamento con sotrovimab sono proprio questi ultimi. È inoltre necessario, secondo le raccomandazioni dell’Aifa, non avere contratto il virus da più di 7 giorni, avere un’età superiore a 12 anni, con un peso oltre 40kg, non essere ospedalizzato e in ossigenoterapia supplementare. Devono inoltre essere presenti sintomi di grado lieve-moderato e ad alto rischio di progressione a malattia severa. In tutti questi casi è necessario contattare tempestivamente il medico di medicina generale o lo specialista di riferimento.
"L’impiego degli anticorpi monoclonali (mAbs) è ormai una concreta ed efficace realtà terapeutica in diversi contesti, in particolare nelle malattie infiammatorie ed in emato-oncologia", chiarisce Giovanni Di Perri, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Ospedale Amedeo di Savoia di Torino. “La variabilità delle sottovarianti di Omicron ha reso non sempre facile e scontato definire con chiarezza l’efficacia degli anticorpi monoclonali contro il Sars-CoV-2”, osserva Carlo Federico Perno, direttore di microbiologia e diagnostica di immunologia all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.
"Tuttavia, a fronte della perdita di efficacia di molti di essi, alcuni monoclonali hanno mantenuto un effetto significativo anche nei confronti delle più recenti sottovarianti del virus, comprese quelle circolanti in prevalenza in Italia. Tra di essi, sotrovimab – continua – sembra essere quello a maggior efficacia. Sotrovimab inoltre ha un profilo farmacologico e farmacocinetico tale da renderlo un’opzione alquanto valida nel presente contesto virologico e clinico, considerando sia la sua lunga emivita (importante soprattutto per il mantenimento di un effetto continuato in pazienti fragili, quelli che più si giovano e si gioveranno delle terapie antivirali) che la capacità di stimolare una risposta immunitaria che coadiuva quella dell’organismo e che potenzia, tramite due meccanismi cellulari, la rimozione e inattivazione del virus. L’insieme di queste caratteristiche rende sotrovimab un anticorpo monoclonale ancor oggi da tenere in alta considerazione nel trattamento dell’infezione da SarS CoV-2”.