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Con la sua voce roca, quasi maschile, Anna Maria Cancellieri spiega davanti alle telecamere perché ha deciso di sostenere il nuovo pseudo-indulto “svuotacarceri” che il governo si appresta a varare: “Sono persone umane che hanno sbagliato, ma possono e vogliono rientrare sulla retta via se solo le condizioni glielo permettessero”.
Potremo inoltre prendere a prestito la frase di mio figlio, un bimbo di 8 anni: “i ladri rubano perché non hanno trovato un altro lavoro”. Non era una frase fatta ne consigliata, ma il pensiero che viene da un cuore innocente e spontaneo. E che pertanto mi ha fatto riflettere, su chi avesse ragione fra quelli che vorrebbero subito al rogo chi è in carcere senza neppure conoscerne la storia individuale e personale e chi invece si ostina a concedere permessi e sconti di pena anche a pericolosi criminali senza scrupoli.
I giorni scorsi sono stati bollenti su questo fronte: due persone sono evase da carceri diversi, dopo non aver fatto rientro da un permesso premio. Due storie diverse ma unite dallo stesso triste destino. Cosi si è scatenata la bagarre: il ministro dell'interno Alfano si è affrettato a dire che i due avevano tradito la fiducia dello stato.
E sin qui niente di nuovo all'orizzonte: Angelino ci ha abituati a farci sorridere. Le forze dell'ordine hanno scatenato una grande caccia all'uomo ripescando velocemente i fuggitivi, ma ciò non è bastato a placare gli animi irrequieti di chi vorrebbe buttare le chiavi delle carceri. Personalmente nel caso di uno dei due, tal Bartolomeo Gagliano, non solo avrei buttato le chiavi, ma avrei saldato la porta della cella con un elettrodo “basico”(tipo di elettrodo con alte proprietà meccaniche).
Il direttore del carcere di Marassi è stato rimosso perché ha sostenuto di non conoscere la storia del suo ospite evaso. Gagliano infatti non solo è un serial killer pericolosissimo, ma è anche e soprattutto un infermo di mente. Colpevole non solo di reiterati omicidi, ma anche di stupri e violenze di ogni tipo, con vari soggiorni trascorsi presso il manicomio criminale di Montelupo Fiorentino.
Dall'altra parte dell'Italia invece mi chiedo se qualcuno si è posto il problema di capire perché un detenuto come Pietro Esposito, a cui mancano solo tre mesi per finire di scontare la sua pena, decida di scappare. Forse perché il carcere non è un hotel targato 5 stelle? O forse perché la libertà non ha eguali neppure quando la gabbia è dorata, figuriamoci stare chiusi tra quattro mura in odore di muffa e restrizioni. Chissà quante volte chi delinque avrà desiderato di poter resettare la sua vita piena di errori e riiniziarne un'altra migliore.
Chi può saperlo? Non certo noi comuni mortali, togati o meno. Il braccialetto elettronico non piace ai giudici italiani, questione di costi, dicono. Eppure in altri paesi permette di dare permessi in tutta sicurezza in quei casi dove si può e si deve concedere la possibilità di una speranza per una vita nuova, diversa, senza errori. “Non lasciatevi rubare la speranza” dice Papa Francesco. Un diritto siffatto però non può esistere se non viene sostenuto da atti concreti che possano renderlo reale. Un lavoro, una famiglia, una scuola che aprano la strada ad una seconda vita, questa volta normale. Non è isolando queste persone che potremo aiutarle a non ricadere negli stessi errori commessi.
E non certo con chiacchere facili da salotto, distesi su calde poltrone, che potremo garantire una tale legittima speranza. Quella stessa speranza che spesso la vita ti ruba già dalla nascita quando il mondo pare non averti offerto nulla, se non miseria, ignoranza e solitudine. Cosi mentre per uno come Bartolomeo Gagliano la soluzione del “basico” risulterebbe la migliore, per l'altro dei due detenuti ripescati, tal Pietro Esposito pentito di camorra che parrebbe non aver commesso alcun omicidio, la soluzione potrebbe essere meno definitiva. Viveva di espedienti Pietro, piccole ruberie, rapine e via di questo passo sempre secondo autorizzazione dell'organizzazione, che in quel territorio impone le sue regole.