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"Gli eroi son tutti giovani e belli", cantava Guccini ne La Locomotiva, uno dei suoi più grandi successi. E quanto erano giovani molti degli oltre 200mila partigiani italiani che diedero gambe e respiro alla Resistenza negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale in Italia. Non sempre bellissimi, provati come erano dalle privazioni e dalle torture spesso inflitte loro dai nazifascisti. Figure non di rado dimenticate, uomini e donne, disposti a perdere la vita pur di affermare un ideale di libertà, democrazia e pace in un tempo gonfio di oppressione, totalitarismi e guerra.
Fra chi scelse di stare dalla parte giusta quando era ancora così difficile farlo, anche tanti sardi. Uno di questi era Nino Garau, il partigiano Geppe. Classe 1923, nato a Cagliari, all'età di diciassette anni si iscrisse all'Accademia Aeronautica di Caserta, poi trasferita a Forlì, dove imparò a conoscere le armi.
IL PARTIGIANO GEPPE. Impiegato poi nell'esercito, scrisse nelle sue memorie che dopo l'armistizio firmato l'8 settembre 1943 dal presidente del Consiglio Pietro Badoglio con gli Alleati, e la conseguente fuga di Vittorio Emanuele III da Roma, "quando ci svegliammo, non trovammo più alcun ufficiale, i nostri superiori erano spariti senza darci alcuna direttiva, si sentiva solo dalla radio il proclama di Badoglio".
Garau, come molti commilitoni presenti nel collegio dell'aviazione, si diede alla fuga e alla ricerca di un luogo più sicuro. Venne ospitato da un compagno d'armi a Villafranca (Forlì). Dopo dieci giorni si recò nel Modenese per raggiungere i nonni materni.
LA RESISTENZA. In Emilia entrò in contatto con i movimenti antifascisti, grazie a Gino Gibertini, cugino della madre, che lo aveva ospitato. Si unì con il primo nucleo della SAP (Squadre d'Azione Patriottica) entrando nella Resistenza con il nome di battaglia "Geppe". Partecipò in prima persona alla costituzione della Brigata "Aldo Casalgrandi" (dal nome del primo componente della Brigata ad essere catturato e giustiziato dai nazisti), in cui assunse un ruolo di primo piano, essendo uno dei pochi capaci di maneggiare le armi e applicare le tattiche militari. In poco tempo ne divenne il comandante.
"Iniziò così la mia lotta partigiana", riferì Garau. "Mai avrei pensato - affermava nel documentario Geppe e gli altri del 2012 - facendo la vita che facevo a Cagliari, che potesse esistere questo ceto di popolazione maltrattata, che potessero esistere alcune persone che, solo per una parola critica contro il fascismo, venissero arrestate e buttate in galera".
La Brigata "Casalgrandi" attuò diversi attacchi contro i nazifascisti. In particolare il 24 aprile del 1944, i partigiani della Casalgrandi disarmarono due fascisti a Ponte Guerro (Modena). Il 29 settembre dello stesso anno sabotarono con l'uso di chiodi alcune macchine tedesche.
"Aumentavano sempre di più le persone che intendevano aderire alla lotta", raccontava Geppe ricordando quegli anni. In quel territorio, infatti, il movimento era fortemente radicato e aveva appoggi in tutte le fasce della popolazione.
PRIGIONIA. Il 31 dicembre del 1944, a Castelvetro, Garau e alcuni compagni di brigata furono catturati da una compagnia anti partigiana. Alcuni di loro vennero immediatamente fucilati. Geppe ed altri, dopo essere stati interrogati, subirono numerose torture. "Il secondo giorno iniziarono le botte e vi dico che erano brutte - ricordava Garau nel film a lui dedicato -. Due litri e mezzo di acqua sporca buttati giù con l’imbuto, ancor oggi ne risento […]. Botte a non finire. Ricordate i cerini S.A.F.F.A.? Quelli di legno piatto? Ce li infilavano sotto le unghie e davano fuoco. Quello che mi salvò dal non confessare niente fu uno stato di atarassia: mi sembrava di vivere in un mondo al di fuori del nostro. Ma una delle torture più brutte fu sicuramente quella dei ferri da stiro riscaldati sulla stufa a legna. […] Con quei ferri da stiro mi bruciarono tutta la pianta dei piedi".
Garau venne trasferito all’ufficio politico ed investigativo di Reggio Emilia, e in seguito a Gonzaga, poi a Guastalla, Mantova e Verona. Lì conobbe Spartaco Demuro, un altro prigioniero sardo, che era in contatto con altri militanti della resistenza in grado di organizzare una fuga dalla prigione. Garau e Demuro riuscirono così a superare il cancello del penitenziario e a fuggire.
Due medici intervennero segretamente per curare le ferite riportate da Geppe in seguito alle torture, la convalescenza durò quindici giorni. Poi Garau riprese a combattere organizzando la liberazione del comune di Spilamberto (Modena) dalle truppe tedesche. Dopo tre giorni di battaglia, il 23 aprile 1945 i partigiani riuscirono a disperdere i nazisti. Mancavano due giorni all’arrivo degli Alleati.
IL RIENTRO CAGLIARI. Prima del definitivo rientro in Sardegna, nel 1946 Garau fu eletto consigliere comunale a Spilamberto. Una volta nell'Isola, ebbe difficoltà a trovare un’occupazione, poiché, essendo stato un partigiano, veniva spesso discriminato. Nel 1949 venne addirittura accusato ingiustamente di omicidio e poi prosciolto.
Nello stesso anno iniziò a lavorare come funzionario, poi divenne responsabile dell’Ufficio Resoconti del Consiglio Regionale della Regione Sardegna. Nel 1952 si sposò con Luciana Magistro, con la quale ebbe tre figli: Dino, Emanuela e Stefania. Nel 1960 divenne Segretario Generale dell’Istituzione Consiliare Sarda e detenne questa carica fino al 1976, anno del suo pensionamento.
Nel 1969, il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat gli conferì la medaglia di bronzo al Valore Militare con la seguente motivazione: "Militare in servizio nell’Arma Aeronautica, entrava all’armistizio nelle formazioni partigiane distinguendosi per ardore, capacità organizzative e spirito di sacrificio. Nominato comandante di zona e poi di Brigata partigiana, assolveva importanti incarichi organizzativi e di coordinamento. Catturato in seguito a delazione, sopportava stoicamente torture e sevizie ma nulla rivelava circa i nomi dei commilitoni e la località ove i reparti partigiani avevano le loro basi. Riuscito ad evadere, e pur menomato nel fisico, riprendeva generosamente la lotta per la Liberazione".
Numerosi altri omaggi gli furono tributati negli anni successivi: la stella d’argento al merito sportivo dal CONI nel 1978, la cittadinanza onoraria di Spilamberto, la medaglia della Liberazione dalla Prefetta di Cagliari Giuliana Perrotta nel 2015.
Morì il 12 luglio 2020, all’età 96 anni. La sua storia e le sue azioni partigiane sono raccontate in un libro scritto da lui, La Resistenza di Geppe, edito nel 2021 da Soter editore. Nel 2012 fu presentato un film Geppe e gli altri. Storia di vita di un comandante partigiano sardo, prodotto dall’ISSRA, regia di Francesco Bachis.
"Posso quindi dire di aver conosciuto l’intera società umana - affermava Garau nel film - con i suoi pregi e i suoi difetti. ma ciò che più conta per me è aver vissuto la guerra in prima linea, e aver vissuto la pace. Bene, io oggi posso dire che nella guerra, anche i vincitori non vincono, perché l’uccisione di un vincitore, di un soldato dell’esercito vincitore non può ripagare ciò che la vittoria di una nazione può dare alla famiglia che ha perso un figlio, ai Cagliaritani che hanno vissuto i combattimenti, e molti sono morti. La guerra non la vince nessuno, la guerra è morte sia per i vinti che per i vincitori".