In un anno può produrre oltre 100mila giovani ricci di mare, prelibatezza della cucina di mare in Sardegna e non solo, l'impianto sperimentale attivato a Cagliari dai ricercatori del dipartimento di Scienze della vita e dell'ambiente dell’università di Cagliari, nell'ambito del progetto "Resurch", finanziato con fondi comunitari per il sostegno alle pmi.

Lo schiuditoio è stato allestito alla periferia di Cagliari, a Sa Illetta, in collaborazione col consorzio ittico di Santa Gilla, con cui l'ateneo ha stipulato una convenzione.

Il gruppo di ricerca ha studiato diete artificiali per l'alimentazione dei ricci, tecnologie e sistemi di allevamento in impianti a terra e in mare e il miglioramento delle qualità biochimiche della polpa di riccio allevato.

Partner del progetto Resurch (Ricerca e sviluppo tecnologico per ottimizzare la redditività economica e sostenibilità ambientale dell'allevamento del riccio di mare), che si conclude in questi giorni, sono sette imprese specializzate nell'allevamento e commercializzazione dei ricci di mare: la Thorisholmi e la Saebyli (Islanda), la Dunmanus e la Connemara Abalone (Irlanda) e Ardag (Israele) e due aziende italiane, la Gigante di Taranto e la Cedimar di Cagliari.

Il gruppo di ricerca è formato da Pietro Addis (unita' di ecologia), Alberto Angioni (unità di chimica e tossicologia degli alimenti), Marco Secci (responsabile dello schiuditoio), Daniela Loddo (esperta in microalghe), dalle laureande in Biologia marina Viviana Pasquini e Angelica Giglioli, e da Cecilia Biancacci, PhD allo Scottish Association for Marine Science (Gb). Il progetto si è concentrato sull'allevamento di due specie di echinodermi, il Paracentrotus lividus, quella consumata in Sardegna, e il Strongylocnetrotus droebachiensis, diffusa nel nord Europa, e sulla sostenibilità ambientale della risorsa.

I risultati potrebbero fornire un sostegno - auspicano i ricercatori - anche agli enti impegnati nella tutela dei ricci di mare in Sardegna. Capofila del progetto è l’università di Genova, affiancata dal Cnr di Taranto e dagli istituti di ricerca Nofima (Norvegia), Sams (Gb), Matis (Islanda) e Iolr (Israele).

Immagine d'archivio