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Grazie ad un accordo di filiera su Civraxu, lo storico pane di Sanluri, ha un suo disciplinare di produzione e un suo marchio di qualità.
Un progetto, questo, che è frutto di due anni di lavoro che ha visto impegnata l’amministrazione comunale del Medio Campidano, in collaborazione con l’agenzia Laore e il Comitato promotore per la valorizzazione del Civraxu.
Grazie a questo accordo è stato possibile predisporre i disciplinari di produzione per tutti i derivati del grano duro di Sanluri (civraxu, pasta, fregula e semola), ma anche creare un marchio collettivo comunale di qualità che identifichi questi prodotti (allargato anche a tutti i prodotti tradizionali di Sanluri).
Tutti i prodotti che si fregeranno di questo marchio saranno garantiti dai controlli effettuati dal Comune (detentore del marchio). In ogni etichetta sarà inserito il nome del produttore e del Comune di origine del grano, del molitore e del panificatore.
Il progetto, realizzato quest’anno, vede la partecipazione, per il grano, di sette cerealicoltori, con il merito di aggregare e valorizzare i prodotti locali e tradizionali.
“Un importante e reale progetto di filiera che valorizza un prodotto tradizionale e da un valore aggiunto ai produttori oggi strangolati da remunerazioni sotto i costi di produzione – ha dichiarato il presidente di Coldiretti Cagliari Giorgio Demurtas -. Ma è un progetto che oltre a da respiro ai cerealicoltori da anche ai consumatori gli strumenti per poterlo riconoscere, altro cavallo di battaglia di Coldiretti: l’etichetta trasparenze”.
“Ancora una volta – ha aggiunto il presidente – i nostri mercati di Campagna Amica rappresentano lo spazio sociale per i prodotti di qualità, per quelle biodiversità, che spesso stiamo perdendo, e che qui trovano casa”.
Se dal 2015 ai cerealicoltori per pagarsi un caffè gli servivano 5 chilogrammi di grano, adesso ne dovranno aggiungerne altri 2 ed arrivare a 7 kg. Secondo un’indagine condotta da Laore, viene fuori che nel quindicennio che va dal 2000 al 2015 i contadini che coltivavano grano si sono dimezzati: sono passati da 12mila 395 nel 2000 a 6mila 190 nel 2015, con un – 50,1%, mentre negli ultimi 3 anni ne abbiamo perso un ulteriore 10 – 12%.
La Sardegna tra la fine dell’800 e inizi del ‘900 era la seconda regione dopo la Sicilia in cui si coltivava più frumento duro in Italia: 158mila 000 ettari su 1,29 milioni totali (dato Laore). Dai dati del 2016 è scesa al decimo posto con soli 36mila 399 ettari su un totale nazionale pressoché simile (1,3 milioni). Ma è un dato in continuo aggiornamento in perdita per l’isola. L’anno successivo, il 2017, infatti, gli ettari coltivati sono 30.584, con una perdita di ulteriori 5.815 ettari. Inoltre, in 12 anni, dal 2004 al 2015 la Sardegna ha perso il 60 per cento (58mila 129) della superficie coltivata a grano duro, passando da 96.710 ettari a 38mila 581 del 2015. Nei due anni successivi (2017) ne ha perso ancora 8 mila (7mila 997 precisamente) arrivando a 30mila 584 ettari.
“Questo ci fa capire ancora meglio il valore di questo progetto – ha concluso Demurtas –, la capacità di aggregare, di avere un marchio che ti identifica e distingue il prodotto, che tutela sia chi lo produce che chi lo consuma. E la possibilità di accorciare la filiera lungo la quale spesso si annidano degli speculatori sia su chi lo produce che si chi lo consuma”.