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Sembrava una sera come le altre quella del 26 marzo 2008 a Gavoi. Faceva freddo. La giornata era ormai giunta al termine e le famiglie si stavano per sedere a tavola per la cena. Ma intorno alle 20.30 tutto cambia. Il dentista Francesco Rocca era appena rientrato dal lavoro Aveva trovato nel garage la figlia Elisabetta, di otto mesi, che dormiva nell’ovetto sporco di sangue accanto alla Fiat Punto rossa della mamma, Dina Dore, all'epoca 37enne. Di lei però non c’era alcuna traccia.
Era scattato immediatamente l’allarme alle forze dell’ordine e di conseguenza il piano antisequestri, ma cinque ore dopo il cadavere della donna era stato trovato dentro il portabagagli: la donna era incerottata, deceduta per soffocamento.
Sono trascorsi 12 anni da allora e tre sentenze del tribunale sono state lette dai giudici. Tutte hanno puntato il dito su Rocca, marito della donna. Per i magistrati è stato lui a commissionare la morte della donna. Come autore materiale del delitto invece è stato riconosciuto colpevole Pierpaolo Contu, 17enne all’epoca del fatti, condannato a 16 anni di carcere. Avrebbe agito in cambio di soldi e di una casa.
Da allora l’immagine di Dina Dore è diventata l'icona del femminicidio in Sardegna. Figlia, sorella, mamma e amica di tutti. L’8 marzo di due anni fa la Giunta regionale le ha intitolato la sede della commissione regionale Pari Opportunità.