PHOTO
Quando si parla delle leggende che attraversano i secoli ed entrano a far parte della cultura sarda, ci si immerge in un mondo del tutto sconosciuto, in cui realtà e fantasia divengono un tutt’uno. Un teatro di incubi e sogni, in cui a prendersi la scena non sono gli uomini, ma bensì creature mai viste, spiriti, o ancora entità sovrannaturali. Mondi distanti e incompatibili per un attimo si intrecciano dando vita ad immagini oniriche ed esperienze trascendentali. Da qui nascono credenze, usi e costumi tramandati di generazione in generazione, consegnati ai giovani dall’esperienza diretta dei più anziani, che durante i loro “contos de foghile” trasmettono il bagaglio di conoscenze acquisite.
Non è raro, dunque, che in Sardegna si trovi riscontro dei racconti fantastici giunti sino ai nostri giorni nelle testimonianze di uomini e donne, giovani e anziani. Vi abbiamo raccontato ieri dell’antica leggenda de “sa Reula”, il corteo di anime penitenti che era solito apparire nelle viuzze dei paesi sardi. Ecco, un nostro lettore ha deciso di condividere con noi la sua esperienza al riguardo. È un ragazzo di Cabras, da sempre affascinato dalla millenaria tradizione mitologica isolana: “Per almeno vent’anni – spiega – mi ha incuriosito andare a visitare nuraghes, domus de janas, pozzi sacri e quant’altro”.
IL RACCONTO. “Nell’aprile 2020 – racconta – ho deciso di andare a visitare un pozzo nuragico nel Sinis di Cabras, precisamente nella strada che porta alla spiaggia di Is Arutas. Era notte (alle 23,30 circa sono arrivato sul posto) ed eravamo in tutto tre persone. Ci siamo recati verso il pozzo, situato presso il quarto filare di una vigna, per scattare delle foto in notturna. Davanti a noi un nuraghe di circa 50 metri. Mi sono sdraiato, col petto rivolto a terra, per effettuare lo scatto del pozzo da cui usciva vapore o condensa. Poi si è sporto uno dei due ragazzi che erano con me e io mi sono rialzato. Era una notte stellata, non tirava un filo di vento; improvvisamente, il silenzio tomba viene spezzato dall’abbaiare di tanti cani, provenienti dai terreni vicini”.
VISIONE SPETTRALE. “Dopo massimo tre minuti ho iniziato a sentire delle voci riunite come se fossero in preghiera. Tante, tantissime voci… ma non capivo da dove arrivassero. Quando mi sono voltato sono stato il primo a vedere la carovana di spiriti: una processione di 15, massimo 18 donne. E, confermo, solo figure femminili che si dirigevano verso il nuraghe. Erano vestite di bianco, senza cappuccio, quasi tutte con i capelli lisci fatta esclusione per tre o quattro, che li portavano mossi. Andavano in fila, ma non indiana: seppur una dietro l’altra erano sparpagliate qua e là”.
Pura immaginazione? O un semplice “abbaglio” dovuto alla tarda ora e alla scarsa visibilità? No, “era notte fonda, ma le vedevo bene perché la luna era piena”, assicura il nostro lettore. Niente di così assurdo, dopotutto; la Sardegna è anche questa, terra di mito e fascino, teatro di sogni e palcoscenico di fantasticherie che, talvolta, possono diventare realtà.