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Nel dipinto del 1941 “Lavandaie al fiume” il pittore di Nuoro Giovanni Ciusa Romagna utilizza una forte pregnanza disegnativa e soluzioni cromatiche originali per descrivere alcune donne chine sul fiume. Scalze, in abiti umili, nel dipinto i contorni sono contraddistinti da linee decisamente calcate in una figurazione diretta e concisa. Tecnica: Tempera su Tavola , 44,5 x 51,5. Comune di Nuoro
La mitologia sarda conta nella sua interezza una miriade di figure. Affascinanti, spaventose, maligne, benefiche: ogni creatura fantastica è fortemente caratterizzata, indicativa di usi e costumi di una o più comunità che sin dalla notte dei tempi, in una terra ricca di richiami evocativi come la Sardegna, fanno delle credenze parte integrante della cultura e della vita quotidiana. Una delle credenze in passato più diffuse nell’Isola, che ancora oggi sopravvive fra alcuni abitanti, è quella nello spiritismo, che affianca alle nostre vite la presenza costante di anime vaganti.
È in questo contesto che si delinea la leggenda delle Panas, le donne sarde morte di parto. Si narra che, dopo il decesso, queste tornassero sulla terra sotto forma di spettro, costrette per penitenza a vagare ogni notte alla ricerca di un pozzo, un ruscello o un lavatoio per sciacquare i propri panni e quelli del loro bimbo. Queste anime dannate erano costrette a rimanere nel mondo dei vivi per almeno sette anni, e a recarsi all’ora più buia presso un corso d’acqua, tutti i giorni.
LEGGENDE A CONFRONTO. Visibili all’occhio umano, disturbarle era un sacrilegio: scomodarle mentre lavoravano le avrebbe infatti costrette ad azzerare la pena e rimanere sulla terra altri sette anni. Per tal motivo le anime evitavano sguardi e conversazioni con chiunque nel cuore della notte avesse incrociato il loro cammino. Erano spiriti innocui, purché non li si infastidisse costringendoli al prolungamento del supplizio; in quel caso le Panas diventavano vendicative ed erano capaci di terrificanti sortilegi. Per questo motivo le donne sarde non andavano mai a lavare i panni durante la notte, terrorizzate dall’idea di incontrarle. Si racconta di un pastore, che non avendo riconosciuto una pana la infastidì; questa scagliò una maledizione contro l’uomo, augurando alla moglie il suo stesso destino. La malcapitata qualche settimana dopo morì di parto.
Ma, come già detto, le donne-fantasma non erano di indole malvagia. Un’altra leggenda narra di una fanciulla, mandata dalla madre a lavare i panni prima dell’alba. Arrivata al fiume vide una pana al lavoro, ma non disse una parola: inizio a sciacquare i panni nell’altro versante e non disse una parola. Poco dopo lo spirito scomparve e la piccola tornò a casa piuttosto scossa, ma rasserenata dal fatto che la pana non avesse scagliato alcuna maledizione, rivelandosi innocua.
CONTROMISURE. Se la morte di una giovane donna durante il parto colpiva una famiglia, per evitare di condannare la puerpera ad un simile castigo i familiari usavano mettere nella bara della defunta un paio di forbici, un pettine e un ciuffo di capelli del marito, in modo che avesse l’occorrente per cucire gli indumenti del proprio bimbo. Avendo così un lavoro da eseguire non avrebbe girovagato per tutta la notte, resistendo così al richiamo delle compagne ad andare lungo i corsi d’acqua insieme a loro. In alternativa si usava lavare per sette anni consecutivi un camicino o una fascia di neonato che venivano poi messi ad asciugare, credendo che così si potesse alleviare la pena della familiare.
ATTENTI ALLE PANAS. In tanti sostengono di aver visto almeno una di queste anime intente a lavare i panni in riva a un corso d’acqua, ammaliati e addolorati dal loro malinconico canto. Alcuni, spaventati da un possibile sortilegio, evitavano di permanere nei paraggi; altri, curiosi, restavano invece a osservarle mentre erano all’opera. Spesso alle macchie sul viso, soprattutto di giovani donne, si dava spiegazione tramite una possibile vendetta delle Panas disturbate.