Vita e morte, aldilà, fato. Sin dalla notte dei tempi le riflessioni dell'uomo si concentrano su questi temi, così vicini ma allo stesso tempo così sfuggenti. Cosa c'è dopo la vita? Che ne sarà della nostra anima? Domande a cui, ancora oggi, non sappiamo dare risposta certa. E' proprio in un contesto così ricco di sfaccettature che si sviluppa buona parte della narrazione mitologica isolana, che si avvale della commistione fra realtà e finzione. Cerimonie, rituali e creature fantastiche si intrecciano riportando in vita le anime dei defunti nei racconti tradizionali. Una delle leggende più note a tal proposito è quella de sa Reula, ovvero la processione dei morti, un lungo corteo di anime che si aggira per le vie del paese durante la notte.

CAROVANA SPETTRALE. Sepolti in cimitero o nelle antiche cripte delle chiese, questi spiriti penitenti si risvegliavano dal sonno eterno, vestiti con una lunga tunica bianca, scacciavano al loro passaggio il buio della notte con la luce tremolante delle candele che tenevano in mano. Tradizionalmente si è soliti indicare questo evento nella notte a cavallo fra il 31 ottobre e l'1 novembre. In coda alla carovana di spiriti errabondi c'era colui che veniva soprannominato, nella tradizione gallurese, "lu zoppu", il quale non riusciva mai a raggiungere le altre anime correndo quindi il rischio di non completare la sua penitenza. Infatti la processione, che iniziava a mezzanotte, doveva giungere a termine entro l'alba.

INCONTRI INDESIDERATI. Non era di buon auspicio, naturalmente, imbattersi nello spettrale corteo, in cui poteva capitare anche di vedere, in mezzo alle anime dei morti, lo spirito di un vivente. Se la processione si muoveva lungo una strada in salita, colui il quale lo spirito vagava fuori dal corpo sarebbe morto entro la fine dell'anno. Nel caso in cui invece si fosse spostate in discesa, questi avrebbe affrontato "soltanto" una lunga malattia. Inolte, il malcapitato che incontrava le anime vaganti, veniva aggredito da queste ultime che, nel migliore dei casi, si limitavano a un pestaggio, lasciando sul corpo della vita lividi e segni di violenza per lungo tempo (li pizzichi di li molti).

CONTATTO COI MORTI. Era possibile scampare alla furia degli spiriti? Sì, ma soltanto nel caso in cui fra di essi vi si fosse riconosciuto un parente o un amico, che si sarebbe sincerato di tenere al sicuro lo sfortunato passante. La visione del corteo poteva essere talmente sconcertante da gettare lo spettatore in uno stato di choc, per via del quale non sarebbe più riuscito a proferire parola. L'unica cura a tale condizione consisteva nel tagliare in croce quattro ciocche di capelli: una dalla nuca, una dalla fronte, una dalla tempia destra e una dalla tempia sinistra. Successivamente veniva pulire un tratto del focolare in cui venivano messi i capelli tagliati per poi essere bruciati. Parte della cenere ottenuta veniva posta in un bicchiere d'acqua che il malcapitato avrebbe dovuto bere in modo da riprendere coscienza.

Ma c'è anche chi racconta che sa Reula sia innocua: i morti non farebbero nulla di male, limitandosi a piangere e lamentarsi. Questa versione della leggenda narra che i morti in processione si recano, uno dietro l’altro cantando o in silenzio, verso la casa dove morirà qualcuno. Solo un paio di loro entrano nell'abitazione del prossimo defunto, e dopo una breve sosta tornano insieme al gruppo e vanno via. 

CREDENZE. L'arrivo del corteo spettrale viene annunciato da alcuni fenomeni naturali, come il soffio del vento o una lieve pioggerella. Ma anche, per esempio, dall'ululare dei cani. Si racconta che basti posare il piede sulla zampa dell'animale per vedere le anime. Pare infine che esistano dei luoghi in cui le anime si riuniscono e in cui anche l'occhio umano poteva vederle arrivare, in processione. Qui esse celebravano cerimonie o assistevano a riti religiosi, dando vita a un suggestivo e fantasioso scenario, in cui morti e vivi entravano in connessione fra di loro.