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È stato trovato morto sabato 8 aprile all'interno della sua cella a Uta Angelo Frigeri, 40 anni, condannato all'ergastolo con l'accusa di aver sterminato a Tempio il 15 maggio del 2014 la famiglia Azzena: Giovanni, 50 anni, la moglie Giulia Zanzani di 46 e il piccolo Pietro di12.
Per gli inquirenti dovrebbe trattarsi di suicidio, ma è stata aperta un'indagine ed è stata disposta l'autopsia per chiarire con esattezza le cause del decesso.
L'uomo era rinchiuso nel carcere di Uta, dove era stato trasferito qualche giorno fa. Prima si trovava a Nuoro, nell'Istituto penitenziario di Badu 'e Carros e potrebbe essere stato trovato in possesso di uno o più telefonini.
Il segretario della Uil Pa Polizia Penitenziaria, Michele Cireddu, in un comunicato parla di un "gesto estremo imprevedibile anche perché il detenuto, trasferito di recente dall'Istituto nuorese di Badu e Carros, non aveva fatto presagire nessun disagio e non era stato necessario sottoporre nei suoi confronti il provvedimento di grande sorveglianza".
Lo stesso sindacato già da tempo aveva denunciato a Uta il “numero estremamente abnorme di eventi critici nelle sezioni detentive. Sono numerosissimi i tentativi di suicidio, gli autolesionismi, le aggressioni tra detenuti, le aggressioni a danno degli Agenti, le minacce di morte, le offese, gli scioperi della fame, ecc”.
“Questo significa – spiega Cireddu - che il personale di Polizia Penitenziaria è costretto a lavorare costantemente sotto stress, senza strumenti e mezzi idonei per poter prevenire e gestire i citati eventi critici, così come non può contare di idonei luoghi dove gestire in sicurezza i numerosi ricoveri in luoghi esterni di cura e le traduzioni nell’aeroporto cittadino. In caso di ricovero esterno di un detenuto, infatti, la mancanza di un repartino detentivo ospedaliero, (previsto per legge nelle città dove esistono gli istituti penitenziari) costringe l’allocamento del soggetto con agli altri pazienti e le numerose volte in cui i detenuti danno in escandescenza si mette a repentaglio l’incolumità dei pazienti, del personale sanitario, degli Agenti e del detenuto stesso. Così come in caso di traduzione in aeroporto, la scorta non può contare su un luogo di appoggio ed è costretta a sfidare la fortuna per riuscire a sottrarre il detenuto dalla curiosità delle persone, deve inoltre sperare che non si verifichino intoppi nel viaggio”.
Cireddu sottolinea che “la Polizia Penitenziaria di UTA e degli altri Istituti della Sardegna è costretta a lavorare in situazioni estreme e quando si verifica un episodio come quello a Badu e Carros, deve vedersi puntare la spada di Damocle in maniera ipocrita anche da quelle Autorità che potrebbero intervenire ma dimostrano indifferenza e insensibilità nei confronti dei nostri poliziotti. Il sistema penitenziario sardo va rifondato immediatamente”.