Al primo approccio con Myriam Costeri mi ha colpito la sua fresca determinazione, il suo essere volitiva nel tentare, ogni qualvolta si prefigge un obiettivo, di raggiungerlo con una naturalezza senza eguali. E’ questa la sensazione che trasmette nel sentirla parlare, nel respirare la sua risolutezza esistenziale fatta di piccoli e grandi sacrifici quotidiani, come il raccontare dei suoi studi universitari, i suoi sogni nel cassetto riguardanti il futuro e della sua competente passione di sempre: l’organetto diatonico che suona da quando ha undici anni. Oggi Myriam, 21 anni, si rivela per noi, parlando del suo territorio, della sua Gavoi, il “paese musicale” menzionato assiduamente con grande orgoglio.

“E’ il cuore della Barbagia: un paese circondato da un paesaggio fiabesco dove si festeggia un carnevale tribale in cui un rullare di centinaia di tamburi e strumenti etnomusicali fa da colonna sonora. E’ stato così che anch’io fin da bambina, sono rimasta ammaliata da questi suoni e mi son fatta trasportare dalle magiche melodie del ballo antico, suonato con l’organetto diatonico e cadenzato dagli antichi strumenti quali tamburo, triangolo e pipiolu (zufolo pastorale). Certo, vivendo in un paese così “musicale” è stato un risvolto naturale imbracciare l’organetto diatonico che è lo strumento principe della tradizione musicale sarda, che da noi allieta i momenti di convivialità”.

Chi ti ha trasmesso l’amore per la musica e per l’organetto?  “La musica è un vizio di famiglia, tant’è che il maggiore dei miei tre fratelli, Antonio Francesco, costruisce tamburi e zufoli, che suona oltre alla fisarmonica e all’organetto diatonico. Poi colleziona organetti d’epoca e riproduce le musiche autentiche ascoltandole in vecchie registrazioni. La passione di conseguenza è nata spontaneamente: quando ho deciso di imbracciare un organetto diatonico mi sono rivolta al maestro Francesco Urru di Gavoi, che mi ha insegnato i primi rudimenti di questo strumento musicale. Suonare per me è una forma di comunicazione DOC, con un timbro identitario molto forte. Ogni ballo è una storia la cui origine si perde nella notte dei tempi. Sulle note de “unu ballu sardu” accadano storie, si fanno amicizie e nuove conoscenze, nascono amori, si dimenticano preoccupazioni e cattivi pensieri … insomma un rito propiziatorio che si rinnova ed è sinonimo di festa e convivialità.”

Ti dedichi solo alla musica? “Assolutamente no. Attualmente studio Medicina e Chirurgia all’università di Cagliari. Platone disse che la musica è la “medicina dell’anima”… Nella vita sono mezza “cicala” e mezza “formica”: oltre a studiare tante ore al giorno per diventare un buon medico, tra un capitolo e l’altro la musica dell’organetto diatonico fa da ‘stacchetto’.”

Per gli studi hai lasciato la tua amata Barbagia? “Durante l’inverno vivo a Cagliari dove studio. D’estate, invece, mi godo il mare della costa orientale baroniese alternandolo con gli appuntamenti festivi nelle piazze, dove suono, ballo, o conduco serate di musica tradizionale. La mia disciplina è allenata anche dallo sport: vado in palestra e a correre al parco, senza contare le gare di “corsa al pullman” che noi studenti universitari siamo spesso tenuti ad affrontare.”

Da quando suoni in pubblico e quali sono le esibizioni che più ti sono rimaste nel cuore. “Il battesimo delle esibizioni per il ‘grande’ pubblico è stato a 12 anni: partecipai al festival dei giovani talenti di Videolina  insieme al gruppo di esecutori giovanissimi che accompagnavano il mio organetto suonando gli altri strumenti dell’etnomusica gavoese: tamburo, triangolo, pipiolu. Il gruppo si chiamava “cuntzertu gavoesu” e arrivammo in semifinale co