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Vittorio De Sica ci ha lasciato quarant’anni fa. La generosità, la sensibilità verso i più deboli e il desiderio di vivere in un mondo in cui “buongiorno vuol dire davvero buongiorno”: queste erano le sue qualità principali. Ebbe modo di dimostrarle anche durante l’occupazione nazista di Roma. Girava un film, La porta del cielo, all’interno dell’Abbazia di San Paolo: scritturò come comparse molti ebrei e perseguitati, proprio allo scopo di tenerli protetti in un luogo sicuro. Questo suo gesto –il figlio Manuel ci tiene a precisarlo- non fu eroico: semplicemente Vittorio aveva un animo buono, e riteneva giusto fare qualcosa per salvare delle vite umane. L’intervista che segue è un estratto di una chiacchierata più lunga, pubblicata nel sito di Vita.
Tuo fratello Christian dice che secondo lui Umberto D, il capolavoro diretto da vostro padre nel 1952, è il più bel film di tutti i tempi. Condividi?
«Umberto D era sicuramente il più favorito di mio padre. Io invece sono un grande sostenitore, in assoluto, di Ladri di biciclette. Per me è una qualcosa di sconfinato, valica addirittura i confini della cinematografia, è un saggio antropologico e molte altre cose. Ed è giustamente quello universalmente più riconosciuto».
Politicamente tuo padre era un uomo libero, sapeva valutare coi propri occhi senza intermediazioni. Proviamo a immaginare cosa avrebbe pensato, ad esempio, di Berlusconi…
«Guarda, Berlusconi lo avrebbe visto come possibile interprete di un Carosello, giusto quello. Lo avrebbe detestato, perché lui detestava tutti i ricconi, gli arroganti, i ricchi, i capitalisti».
Di Renzi invece?
«Lo avrebbe osservato con un certo sospetto. Riconoscendogli un indubbio carisma e una grande comunicativa, però nel contempo intravedendo in lui una certa furbizia naturale».
Dal punto di vista religioso, come si collocava?
«Lui era timorato come un uomo di fine Ottocento, perché era nato nel 1901. Lo mettevano un po’ in soggezione le figure tradizionali –commissario, brigadiere, cardinale- semplicemente perché era un figlio del suo tempo. Certamente vedeva con simpatia Giovanni XXIII, e il tentativo da parte sua di rinnovare la Chiesa col Concilio Vaticano II. Papa Francesco gli sarebbe piaciuto molto: avrebbe apprezzato l’immediatezza, la prontezza, la comunicativa semplice ma profonda. Poi il fatto che da un lato è un uomo accomodante, che stringe le mani e telefona alla gente comune; dall’altro però è rigoroso, non vuole avere a che fare coi religiosi furbetti».
Christian parla di vostro padre come un piccolo Oskar Schindler, perché salvò la vita a molti ebrei durante l’occupazione nazista. È tutto vero?
«È vero che ha salvato molte vite, ma non c’è stata una De Sica list, come quella di Schindler. Ci sono stati anche degli ebrei tra le persone che ha reclutato come comparse, per permettere loro di scampare ai rastrellamenti, però mio padre non è stato né Oskar Schindler né Perlasca. Ha dato una mano a diverse categorie che in quel momento erano in pericolo, ma non fu una scelta cosciente, ragionata. Era sicuramente un uomo di grande umanità, di grande generosità –mia sorella mi racconta che una volta lo vide in piazza del Popolo mentre dava il suo cappotto a un senzatetto infreddolito- quindi era una persona molto sensibile, che comprendeva e cercava di aiutare le persone sofferenti. Quindi diciamo, molto semplicemente, che le contingenze storiche lo spinsero a dare una mano. Questa è la verità, e io voglio che di lui emerga la verità, non la versione romanzata».