PHOTO
Nel mio cuore c'è sempre stata una militanza radicale: certe battaglie per i diritti civili, per le donne libere di scegliere, lo stare dalla parte degli ultimi e di chi tra i margini meritava un riscatto sono solo alcuni dei principi che hanno mosso le mie convinzioni negli anni in cui crescevo e cominciano a pensare.
Le battaglie per l'affermazione di una giustizia più giusta, che avevano trovato una sponda nel caso Tortora (un uomo dilaniato da dichiarazioni infamanti di pentiti a buon mercato e poi assolto da ogni accusa), avevano affinato la mia sensibilità sul tema: chi sbaglia paga, ma deve pagare solo chi ha davvero sbagliato e non per "pentito dire" o per sommari processi condotti da magistrati corrotti e incapaci.
Non sarò mai per la pena di morte: nessun Paese civile può pensare di stabilire per legge un omicidio di Stato.
Sono del parere che chi ha pagato i suoi errori ha diritto ad una seconda possibilità e quindi ad una riabilitazione.
Ritengo che le condizioni degli istituti di detenzione devono garantire dignità e umanità per chi vi "soggiorna" e che la restrizione della libertà sia già una dura prova per chiunque.
Il mio cuore è molto, ma molto meno radicale quando si discute di Totò Riina e dei suoi pari.
Qui non parliamo di gente che sbaglia e si ravvede.
Qui si tratta di un barbaro assassino, pluriomicida e farabutto che sistematicamente ha utilizzato ogni forma di violenza per infliggere male, per recare morte e sterminio, per ordinare stragi e destabilizzare l'ordine senza mai dare un segnale di pentimento.
Qui si tratta, soprattutto, di uccidere per la seconda volta quelli che per suo volere non ci sono più.
Qui si tratta di insultare chi è rimasto orfano di un affetto per la sua smania di odio e rancore.
Riina e i suoi pari non meritano nemmeno un'ora di libera uscita: malati o meno che siano.
Hanno scelto di essere un simbolo: della mafia, del malaffare, dell'ordine sovvertito, del male più oscuro. Non può passare il messaggio che alla fine tutto si aggiusta con un lavaggio di coscienza generale stabilito dalla Cassazione.
Avevano diritto ad una morte dignitosa anche tutt