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Un ripieno di saporito formaggio di pecora filante e leggermente acidulo, avvolto da una pasta di semola fritta e poi ricoperta da un ottimo miele locale di corbezzolo o di castagno o, nel caso si preferisca, da zucchero semolato, variante che fa storcere il naso a tutti gli amanti della tradizione!
È la famosissima seada, “dolce non dolce” tipico sardo che oggi è conosciuto e amato in tutto il mondo, arrivato ormai dappertutto attraverso l’esportazione ma che viene gustato al meglio proprio in Sardegna, magari accompagnato da un buon bicchiere di Malvasia, davanti al mare cristallino, respirando i profumi della macchia mediterranea mentre il vento di maestrale scompiglia i capelli e placa il calore del sole cocente.
Come spiega Giovanni Fancello, esperto e docente di storia della gastronomia sarda: “La seada, chiamata nelle diverse varianti linguistiche dell’Isola seada, sebada, seatta, sevada, sabada, casgiulata, ha un nome che pare derivi dalla parola latina ‘sebum’, ed è così chiamata per il suo aspetto untuoso, o anche perché in sardo si chiama seu il grasso animale, ozu seu.
Oggi il suo nome si traduce la lingua locale in italiano, ha perso il singolare e ogni ristorante, pur servendo un dolce individuale, scrive sul menù al plurale: ‘seadas – sebadas’”.
Così come gran parte delle bontà tipiche sarde, è un piatto che fa parte della cucina tradizionale povera, preparato con ingredienti semplici e facilmente reperibili.
Originaria dell’affascinante entroterra sardo che comprende la Gallura, l’Ogliastra, la Barbagia e il Logudoro, la seada si preparava specialmente in occasione della Pasqua e del Natale, quando le famiglie si riunivano dopo il ritorno dei pastori dalla transumanza.
Allora veniva servita come piatto salato ed era più grande di quella odierna, per soddisfare i grandi appetiti dei pastori; solo successivamente è divenuta un dolce, grazie anche all’aggiunta del miele (che non era presente nella ricetta originaria) e ha dimensioni ridotte.
La variante salata è comunque ancora presente in Sardegna, anche se in poche e piccole zone dell’Isola.
Gli ingredienti essenziali per preparare una “signora seada” sono la pasta violada, tipica della Sardegna, fatta di semola e strutto, formaggio pecorino fresco acidulo, scorza di limone grattugiata e miele di corbezzolo o di castagno, ma spesso viene utilizzato anche quello di cardo.
Un tempo, per far inacidire il pecorino, le massaie sarde lo avvolgevano in un panno e lo lasciavano riposare per almeno 2 giorni.
Appena pronta, la seada si frigge in abbondante olio extravergine d’oliva o nello strutto, come si faceva originariamente, e appena scolata si condisce con una cascata dorata di miele. Sentirete che tripudio di sapori forti ma allo stesso tempo equilibrati che esplodono in bocca, per un gusto inconfondibile che sa di Sardegna!